Wonder Woman

di Patty Jenkins (2017)

durata: 141’
produzione: USA
cast: Gae Gadot, Chris Pine, David Thewlis, Danny Houston, Elena Anaya, Connie Nielsen, Robin Wright, Said Thagmaoui, Ewen Bremmer, etc
sceneggiatura: Allan Heinberg
fotografia: Matthew Jensen
musica:  Rupert Gregson-Williams

Cominciamo dalla base: personaggio e interprete, introdotti nel per me ontologicamente ostico “Batman v Superman” e ora finalmente alla prese con un film dedicato. Per chi come il sottoscritto a cavallo degli anni 80 con l’omonima serie era rimasto rapito dalla bellezza sensuale, ma non volgare di colei [Lynda Carter] che era stata deputata a rappresentare l’incarnazione cinematografica della celebre eroina dell’universo DC Comics, Gal Gadot è semplicemente una scelta azzeccata. E chi vedrà il film capirà cosa intendo. La sua espressività è in grado di gestire ingenuità e tenacia ideologica senza troppi cedimenti. C’è poi un rispetto per il corpo (e dignità) femminile che se da un lato può essere facilmente rapportato al fatto che a dirigere ci sia una donna (dopo una lunga assenza per impegni televisivi da “Monster”, per la cronaca), dall’altro trovo anche che sia un riuscito tentativo filologico di rispetto del periodo storico trattato (Prima guerra mondiale) e del relativo modo di intendere e percepire l’eros. Quello che ne scaturisce sotto il profilo della caratterizzazione del personaggio è sicuramente un prodotto ai limiti della castità (nessun costumino sexy, baci al buio, amplessi immaginati, riferimenti e battute sessuali catechistici e desiderio romantico) che va a sommarsi a tutta una serie di buoni propositi e sentimenti che per un attimo sembrano portare un fascio di luce di positività filo-collettiva nella vena intimista e tormentata della nuova era DC. Se da un lato resto dell’opinione che quest’ultima abbia rappresentato la chiave di (s)volta per questo tipo di cinema, devo dire che in questo caso l’apertura ‘solare’ non guasta. Ovviamente se si affronta il film per quello che è: una celebrazione dell’eroicità femminile su base morale senza artifici seduttivi;  a partire dall’idilliaca ambientazione fotografata all’inizio con l’isola delle Amazzoni (Themyscira / geograficamente e ideologicamente separata dal mondo umano) passando per contrasto alla spietatezza della guerra, fino al sacrificio d’amore finale del capitano / spia Steve Trevor [Chis Pine] che lascia la protagonista libera di compiere il proprio destino. Se vogliamo anche il sottotesto antibellico e caritatevole nello spirito del compianto Gino Strada ha il suo perché.
I livelli tecnici della dimensione visiva sono di buona qualità (seppur con qualche sbavatura e un abuso di slow motion) e la componente mitologica riesce ad evitare il frequente rischio della pacchianaggine, giostrandosi abilmente tra i vari effetti speciali, costumi, coreografie, etc del caso. La caratterizzazione prettamente fisica e comica degli altri personaggi / compagni di ventura – umanamente diversificata, ma accumunata dalla necessità della sopravvivenza a discapito dei propri sogni – sortisce i buoni esiti assecondando uno script che nonostante la lunga durata è ben ripartito e tutt’altro che tedioso per quanto sia ravvisabile una certa semplicità di base. Tra questi probabilmente molti riconosceranno l’ex Spud di Trainspotting [Ewen Bremmer] o quel Said Taghmaoui che più di 20 anni prima aveva debuttato ne “La Haine” di Kassovitz. Commento sonoro di Rupert Gregson-Williams perfettamente in linea con il trade mark del collettivo di cui fa parte (il “Remote Control Productions” di Zimmer) e funzionale alla messa in scena. Purtroppo torna l’onnipresente maledizione del pezzo finale ‘a cazzo di cane’ (cito “Boris”, quindi spero non sia considerata una volgarità), che non c’entra nulla con l’ambientazione, con lo stile, etc, ma tanto piace alla produzione perchè “fa moderno e trendy”. E non aggiungo altro. Danny Huston (figlio di QUEL padre e fratello di QUELLA sorella) è un ottimo villain, soprattutto quando ‘pippa il gas’, ma il colpo di genio è il dio Ares …con due bei epicamente dissonanti mustacchioni inizio-secolo [David Thwelis].

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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