Con tutti i limiti del caso e periodo, tra gli horror più memorabili dell’autore. Non fosse altro per il cinico sottotesto anticapitalista ed ecologista, e la presenza di alcune scene che per un motivo o un altro sono diventate iconiche tra gli appassionati del genere e gli hanno conferito un valore forse decentrato in termini programmatici, ma sicuramente rinfrancante per la memoria del regista.
titolo originale: “Virus”
durata: 89’
produzione: Italia/Spagna
cast: Margit Gansbacher, Franco Garofalo, Selan Karay, José Gras, etc
sceneggiatura: Bruno Mattei, Claudio Fragrasso, Rossella Drudi
fotografia: Juan Cabrera
musica: Goblin, Giacomo Dell’Orso
Con questa che poi è divenuta una delle sue pellicole più ‘kult’, Mattei amplia e arricchisce lo spettro della sua eterogenea produzione addentrandosi nel filone degli zombie movie, di palese e dichiarata derivazione romeriana [a partire dal nuovo pseudonimo adottato ‘Vincent DAWN’]. Avvalendosi per la sceneggiatura dell’amico (e non accreditato collaboratore anche per la regia) Fragrasso – a sua volta affiancato da Rossella Drudi – il regista propone una misteriosa missione che assume le fattezze di avventuroso viaggio nel terrore. Misteriosa almeno fino al finale che esplica la natura politica della suddetta.
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Viaggio che con tutti i limiti comunicativi dell’interpretazione tanto degli attori che delle comparse (con immancabili soggetti sorridenti o intenti in una zombie-walk comica con accelerazioni inspiegabili) passa in rassegna un po’ tutte le variazioni sul tema, classici assedi domestici e riferimenti esotici fulciani inclusi; nonché una contaminazione tribal-cannibal che attinge alla produzione precedente dei vari Lenzi, Deodato o Martino.
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Ed è proprio il cannibalismo uno degli elementi più marcati in questa storia che inizia e finisce in fabbrica. Il topo assassino dell’incipit annuncia in qualche modo il successivo “RATS” – ARTICOLO QUI
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Il titolo originale (all’estero è meglio noto come “Zombie creeping flesh”) è dovuto infatti all’origine ‘virale’ della famelica immortalità, creata in laboratorio dall’uomo e sfuggita al suo controllo.
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Fabbrica che si erge, con effetto accentuato da ricorrenti contre-plongée come sinistra struttura costruita nel terzo mondo per risolvere il problema della fame; nel più amorale dei modi: far divorare i più poveri – interessante il parallelismo zombies/indigenti – tra di loro, con una sorta di (ennesima) variazione su quanto proposto da Fleischer del suo meraviglioso “Soylent Green”.
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Salvo qualche fegatello o scena di raccordo di più lunga durata nei dintorni di Roma, il film fu girato in Spagna (spacciata per Nuova Guinea – possibile altra citazione della pellicola del ’74 di Akira Ide) con ancor meno mezzi di quelli preventivati; tanto che all’arrivo sul posto Fragrasso dovette riscrivere la sceneggiatura per ovviare al basso budget. In tale contesto, soli due attori italiani furono coinvolti.
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Lo stralunato e kinskiano Franco Garofalo, nel ruolo del soldato Santoro: personaggio incline all’iracondia nei confronti degli zombi e in più occasioni non curante del pericolo (ovviamente il destino presenterà il conto) in superflue dimostrazioni di human power.
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E nel ruolo della giornalista Lia, una giovanissima Margit Gansbacher al naturale, ancora lontana dalla matura avvenenza raggiunta ne “La puritana” di Grassia e omaggiata da un bagno di sangue à-la-Carrie (nell’efficace scena finale dell’ascensore) poco prima di lasciare questo mondo dopo averci donato un’infinita e insopportabile serie di espressionistici sguardi terrorizzati.
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Fatta eccezione per i frame con i fulmini, il film trova nei fantasiosi effetti speciali artigianali ( il suo punto di riscatto da una performance attoriale a tratti insostenibile (in primis il padre del futuro bambino zombie o il capo dei terroristi).
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Sorprendente (anche se poco pet friendly come purtroppo quasi tutte le pellicole del periodo) il gatto indiavolato che fuoriesce dal cadavere di un’anziana signora; discutibile il fegato estratto dalla parte alta sinistra di un busto (evidentemente il macellaio non aveva disponibili cuori animali), ma in generale – ribadisco – tra le cose migliori del film. Per gli appassionati del genere, ca va sans dire…
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Punte di magistrale, assoluto disgusto nella parentesi tribale che tratta le consuetudini post-mortem dei selvaggi.
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Messa in scena che oscilla tra il noioso e lacunoso, con alcuni punti di montaggio che tra un inserto mondo movie e l’altro mettono a dura prova il conceto di ellissi temporale (es. a caso la scena in cui Lia tiene sotto tiro uno dei militari che ricorda vagamente Lee Majors).
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Tra fiumi di infinite munizioni (infinite come la benzina), come poi nessuno capisca che per uccidere uno zombie (sorridente o meno) si debba sparare alla testa come fa il militare Santoro – che oltretutto lo spiega apertamente in più momenti – resta una delle assurdità più frustranti del film. Ma questa è un’attitudine che ho constatato in molte pellicole, tra cui il buon “Zombie 2” del sopraccitato Fulci, quindi soprassediamo…
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Ottima la musica dei Goblin, anche se non perfettamente aderente al girato, ma ciò è ampiamente giustificato dal fatto che sempre per motivi economici sono stati utilizzati brani che il gruppo aveva precedentemente composto per altri film come “Contamination” di Cozzi o appunto “Zombie” di Romero, a questo punto possiamo asserire omaggiato/citato fin nei minimi dettagli.
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L’edizione integrale completa alla fine il quadro di efferatezze con l’uccisione di Lia tramite estirpazione della lingua ed espulsione dei bulbi oculari a seguito di inserimento della mano nella cavità orale (allineandosi alla moda del popping out di quegli anni, ma in una maniera che a memoria – ma posso sbagliarmi – vedremo solo 9 anni dopo nel “Society” di Yuzna, usando un altro ingresso corporale); scena che ovviamente ha causato l’inserimento della pellicola tra i Video Nasties britannici.
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Il film è uscito in Italia in DVD per la Stormovie, con distribuzione Serendipity nel 2009.
Esiste anche un’edizione Cecchi Gori (Collana “CineKult”) – distribuzione Mustang Entertainment – nel 2011, ma è fuori catalogo.
Come avviene spesso per i film di genere italiani (collana “The Italian Collection”, appunto) si deve all’inglese 88 Films l’ottima versione Blu Ray da me visionata, ovviamente integrale: BD box trasparente con stampa fronte/retro che mostra sia la cover italiana che quella estera. Codice EAN: 5060496451255
A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.
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