Tusk

di Kevin Smith (2014)

La transizione verso il settore horror dell’ex padre di “Clerks” può dirsi definitivamente ultimata con questa pellicola grottesca dove orrore e comicità involontariamente consegnata da un marcio cinismo portano lo spettatore a riflettere oltre l’ARTIGIANALE messa in scena.

sceneggiatura: Kevin Smith
durata: 102’
produzione: 2014
anno: USA
cast: Michael Parks, Justing Long, Haley Joel Osment, Genesis Rodriguez, Johnny Depp
fotografia: James Laxton
musica: Christopher Drake

Dei tempi di “Clerks” resta il linguaggio sboccato, per certi versi il bianco & nero (qui relegato ai flashback), l’importanza dell’ “oralità” -e non parlo di tradizione…- nei rapporti di coppia. Così come non mancano le frecciate anticlericali, ampiamente declinate in “Dogma” e riferimenti cineastici vari, tanto alla propria produzione (es. la figura del podcaster) che quella altrui (es. il serial killer che urla insieme alla vittima, che ricorda il Buffalo Bill nella traposizione de “Il silenzio degli innocenti“ di Demme).

Nessuna pretesa di originalità nella struttura narrativa, nel suo sviluppo e perfino nei cliché adottati e questo – sommato a un uso dell’effettistica digitale davvero limitato (a memoria la pessima amputazione nel video iniziale del ragazzo sbeffeggiato e poco più) a favore di un massiccio utilizzo di make-up tradizionale – rende la pellicola una sorta di film old-school post-datato dove body horror e cinema grottesco si fondono amabilmente.

Il risultato se da un lato può deludere gli amanti degli script originali o i perfezionisti del realismo (personalmente ho grosse perplessità qualitative e quantitative sulle modifiche anatomiche…), dall’altro troverà sicuramente il plauso di chi vorrà legger tra le righe. La figura di Wallace [Smith ama le assonanze: qui con “walrus”/tricheco, ma si pensi anche al nome della trasmissione: “Not-See” party che crea spesso problemi perché arriva all’orecchio come “Nazi”] è perfettamente funzionale alla generazione dell’antipatia; che poi, a seconda della sensibilità personale, a fine film probabilmente si trasformerà in pietà.

Il serial killer interpretato dal purtroppo scomparso Michael Parks oscilla magistralmente dalla lucidità intellettuale alla demenza senile, ineccepibile anche verbalmente grazie al doppiaggio di Carlo Valli.

L’avvenente attrice di turno (la ragazza tradita e traditrice di Wallace) interpretata da Génesis Rodríguez è convincente quando piange; e non è cosa da poco.

Il triangolo amoroso si chiude con l’ex enfant prodige Haley Joel Hosment, improbabile sostituto che si gioca bene tutte le carte della trombamistà.

Incredibile infine Johnny Depp (nei panni dello svanito detective semi-alcolizzato Guy LaPointe), truccato ai limiti dell’irriconoscibilità e la cui recitazione sopra le righe andrebbe gratificata anche solo per la fatica fatta a sostenere uno sguardo strabico per tutto il tempo. E non a caso tornerà nella seconda parte di un’ideale trilogia intitolata “True North” di cui questo è il primo (e forse miglior) episodio.

Come sopra accennato il film è in grado di donare – glissando su una certa prevedibilità degli sviluppi narrativi (spoilerati anche dal trailer) – sia attimi di tensione che di amara risata, ma soprattutto la giusta empatia verso chi perde per un nefasto scherzo del destino qualcosa che tutti danno per scontato, ma non lo è: l’umanità. Emblematica in tal senso una frase del serial killer che paragona la depressione per la perdita di un arto a quella del lutto per un caro amico che si è dato troppo spesso per scontato. Ed è solo l’inizio…

Quello che si intuisce, ma non viene però approfondito dopo la prima amputazione ed è drammaturgicamente efficace è il fatto che questa trasformazione avvenga gradualmente, in un processo di totale annientamento e trasformazione chirurgicamente pressoché irreversibile. Alla vittima non resta dunque che accettare in nome del primordiale istinto di sopravvivenza la propria nuova natura, lottando con con un nuovo corpo contro il proprio aguzzino (si noti: sulle note dell’omonimo pezzo dei Fleetwood Mac / Smith è rinomato per aver speso in passato più di royalties che di costi produttivi) per la propria vita fino alla totale accettazione del proprio destino.

Pur fortemente debitore, ma senza arrivare ai livelli del “The Human Centipede” di Tom Six, nell’acre, quasi tragicomica satira che il regista riesce a delineare, prende spazio la catabasi di un individuo a cui resterà solo il confuso ricordo della propria deprecabile esistenza, lacrime di rabbia per qualcosa che avrebbe potuto evitare se non fosse stato avido di gloria mediatica e strazianti urla per una lingua strappata sotto anestesia. Quasi a monito – per un istante lo sguardo è poco ortodossamente in camera – contro la realtà dei social che livellano le persone fino allo stato bestiale, ora sua eterna dimora mentale.

Il film è uscito in Italia nel 2015 per la Sony Pictures e distribuito dalla Universal sia in DVD che BD, entrambi ormai fuori catalogo. Ristampato in DVD (2017) e BD (2018) sempre da Sony in collaborazione con Cecchi Gori è al momento ancora disponibile tramite distribuzione Mustang Entertainment.
Blu ray da me visionato: classico amaray blu, con copertina a stampa monofacciale. Edizione Sony Pictures / Cecchi Gori (2018).
EAN: 8057092020746.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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