Thirst

di Park Chan-wook (2009)

titolo originale: “박쥐 (Pipistrello)
durata: 133’ (versione home-video visualizzata, in coreano sottotitolato) / 148′ (Director’s cut)
produzione: Corea del Sud
cast: Song Kang-ho, Kim Ok-bin, Shin Ha-kyun, Kim Hae-sook, etc.
sceneggiatura: Park Chan-wook, Jeon Seo-kyung
fotografia: Chung Chung-hoon
musica: Cho Yung-wuk

Che Park sia uno dei cineasti coreani più interessanti e innovativi dell’ultimo ventennio credo sia appurato, ma parte del suo talento narrativo va ricercato anche nella capacità di portare in scena modelli e tematiche trite (virus letali, mutazioni, vampirismo, etc.) ponendoli in condizioni di assurgere ad alto valore artistico e potenziale espressivo non condizionato da questo grave impegno intellettuale. Quello del tormentato Song Kang-ho (il prete vampiro protagonista, diviso tra vocazione morale e necessità ferale) o del crudele fiore in sbocciamento che è Tae-Ju [l’attrice e sceneggiatrice Kim Ok-bin] è un melodramma malsano, ma intenso dove l’orrore ha soli vaghe nuances di richiamo da botteghino. Non infastidisce la macchiettistica ipocondria o infantilismo di un marito cornificato [Shin Ha-kyun] e piuttosto amplifica per contrasto il cesellamento di un amore, difficile e impossibile, tra i due protagonisti succitati. Perfino l’intenso commento sonoro classicheggiante riassesta la sua centratura filologico-culturale nella perfetta adesione a quella che è o può essere, oltre la parvenza fantastica, una tradizionale storia di amore ostacolato dagli eventi; esotica nell’ambientazione, ma shakespearianamente universale nei risvolti. Pur nella copiosità del sangue o il disturbo visivo delle manifestazioni virulente, la passione cresce, si amplifica nell’intensità della ricerca corporale (sfiorando più volte il feticismo) e si sublima in un romanticismo non di maniera, ma evolutosi nel rispetto di quel determinismo che fu proprio di Zolà (dal cui racconto, “Teresa Raquin” il film è liberamente ispirato). E soprattutto, tra tanto dinamismo e ferocia, ancora capace di tenerezza. Come nell’epilogo quasi comico sulla scogliera o nelle scarpe confortevoli e confortanti, nuovamente indossate dalla protagonista nell’agrodolce finale riservato allo spettatore, ma anche al proprio destino.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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