The Innocents

di Eskil Vogt (2021)

titolo originale: “De uskyldige”
durata: 117’/118′
produzione: Norvegia/Svezia/Finlandia
cast: Rakel Lenora Fløttum, Alva Brynsmo Ramstad, Sam Ashraf, Mina Yasmin Bremseth Asheim, E. Dorrit Petersen, etc
sceneggiatura: Eskil Vogt
fotografia: Sturla Brandth Grøvlen
musica: Pessi Levanto

Valido lavoro di direzione attoriale di bambini, innanzitutto, il secondo lungometraggio di Vogt riprende dal datato e precedente film (“Blind, 2014”) sia un’interprete [Ellen Dorrit Petersen] che lo spunto del disagio fisico come culla di un mondo interiore che compenetra il reale. Più visionariamente nel primo caso, più concretamente e attraverso ‘super poteri’ in questo nuovo girato. Tra parentesi, ottima anche l’interpretazione della giovane Ramstad (Anna, ragazza autistica). Fatta la dovuta eccezione di un cadavere femminile rimasto a marcire non si sa per quanti giorni in cucina senza che nessuno se ne accorga, la scrittura di “The Innocents” è pulita e ponderata; al punto da dosare lo sviluppo di eventi e auto-consapevolezza evitando prevedibili finali pirotecnici. Al contrario, con un’azione di intelligente sintesi, al surreale e fantastico (supportato da un uso perfettamente armonico, discreto ma funzionale dei VFX) del crescendo narrativo segue un epilogo capace di sorda efficacia, glaciale nella sua contingenza drammatica incrementata dalla totale indifferenza degli astanti. E di nuovo in antitesi con la crudeltà e sadismo che sembrava delinearsi dai primi minuti di girato [cfr.iniziative della piccola Ida / Rakel Lenora Fløttum gelosa delle attenzioni rivolte ad Anna o quelle decisamente non cruelty-free del piccolo Sam Ashraf / Ben].
Ultimo meta-messaggio riscontrabile oltre il paradigma dell’innocenza impersonato dalla fanciullezza, ampiamente superato e snaturato nella produzione cinematografica horror, riguarda il gioco. Gioco come momento di formazione extra-genitoriale (una genitorialità poco presente o esclusa), di socializzazione che nel costrutto pseudopolitico di uno spazio condominiale condiviso diviene faziosa divisione sociale e che stimola – fondamentale in tal senso il ruolo del gattino iniziale – un percorso di crescita etica, consapevolezza dei propri limiti comportamentali e sviluppo di quell’ empatia di cui Ben, piccolo villain del film suo malgrado è quasi (un quasi sottolineato dalle sporadiche lacrime) totalmente sprovvisto. Per una volta l’ammiccante moralismo di un happy ending non risulta stucchevole, grazie al bilanciamento della modalità d’azione che lo comporta e ci consegna una delle pellicole ‘minorili’ più interessanti degli ultimi anni.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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