The Boondock Saints – Giustizia finale

di Troy Duffy (1999)

titolo originale: “The Boondock Saints”
durata: 110’
produzione: USA / Canada
cast: Sean Patrick Flanery, Norman Reedus, Willem Dafoe, David Della Rocco, Billy Connolly, Ron Jeremy, etc
sceneggiatura: Troy Duffy
fotografia: Adam Kane
musica: Jeff Danna

Opera prima (con un sequel) per il regista anche musicista dell’entourage Maverick Records di Madonna, assolutamente degno di nota, ma tarantiniano fino al midollo: il gatto spappolato da un colpo accidentale di pistola rimanda subito a “Pulp Fiction”, così come il misticismo cristiano (in realtà intriso di usanze ‘pagane’, come l’Obolo di Caronte) che anima l’intera operazione di “raccolta di anime perse”. Analogamente Duffy si fa notare per una scrittura energica che approfondisce i personaggi fino a renderli per accuratezza dialogica e comportamentale perfetti ingranaggi empatici. Troneggia un Dafoe, detective FBI che trova ispirazione – con orchestrali movenze quasi lecteriane – nell’opera italiana per le sue indagini (unica caduta di stile un’omosessualità mantecata negli stereotipi che tuttavia si sublima in una parentesi di genuino travestitismo), così come la figura draconiana de Il Duca [il comico e musicista scozzese Bill Connolly], sicario fuori controllo, che va a completare la progettualità bronsoniana che motiva l’operato dei due fratelli giustizieri; metaforicamente impiegati di un macello nella vita quotidiana. Apice creativo della messa in scena la ricostruzione metafilmica degli omicidi con il detective immerso nei flashback di quanto avvenuto. Non ultimo, ricercato il connubio tra atmosfere gangster-noir e venature/sonorità celtiche che richiamano le origini irlandesi dei due protagonisti principali [Flanery e Reedus] dal volto non casualmente angelico. Le interviste nei titoli di coda, pur nel faceto, esprimono perfettamente qualsiasi sfaccettatura del possibilismo nella reazione umana di una società che vede finalmente attuata una soluzione sommaria decisamente non sgradita. Cammeo di Ron Jeremy tra i malcapitati mafiosi e che ‘ovviamente’ perisce in location VM18. Non memorabile per originalità, ma gradevolmente sopra le righe e con un enorme potenziale cult guastato solo dall’umore che permea la sottile e osmotica membrana tesa tra omaggio e ispirazione.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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