durata: 138’
produzione: USA
cast: David Howard Thornton, Lauren LaVera, Sarah Voigt, Kailey Hyman, Casey Hartnett, Elliot Fullam, Jenna Canell, etc.
sceneggiatura: Damien Leone
fotografia: George Steuber
musica: vari
Attesissimo sequel per questo personaggio [Art the Clown, magistralmente (re)interpretato da Thornton, autentico mimo della morte] creato da Leone e che tenta di ampliare l’universo narrativo sviluppato nel precedente lavoro del 2016 o cortometraggi antecedenti, mera vetrina grand guignol fine a se stessa per l’efferato clown. A partire dall’introduzione di una sorta di eroina [LaVera] la cui forzata trascendenza finale costringe quasi a pescare in uno stucchevole calderone fantasy (“…’a spada de foco…”) o una inquietante giovane compagna di giochi per Art, ma con il solo risultato di prolungare il film oltre i tempi massimi di qualsiasi slasher noto (quasi 2 ore e 20!). Anche in ragione di un -e qui entra in gioco la duplice valenza dell’aggettivo – maniacale indugiare nelle scene di omicidio, che se da un lato mettono in bella mostra la preparazione di Leone & crew nell’ambito dell’effettistica prostetica/animatronics, dall’altro possono stancare quello spettatore che casualmente si fosse apprestato a guardare un film del/di genere nella speranza di una trama avvincente. La verità purtroppo è che la pellicola sul piano narrativo è quasi imbarazzante, raggiungendo l’apice dell’interpretazione trash nel pianto da ubriaca della madre della protagonista [Voigt] / quasi sui livelli di Laura Dern nell’iconica scena di “Velluto Blu”. Tuttavia il film è talmente sistematicamente truce, violento e ben confezionato (non manca neanche l’omaggio alla fotografia di “Inferno”) che sono certo entrerà a far parte dei capisaldi del genere. Aggiungiamo anche un’accorta selezione di sonorità che si sposano con la filosofia ottantiana dello slasher e risulteranno particolarmente efficaci tracce synthwave come quelle dei Mirrors, Kiile o Mike Glover (aka Miami Nights 1984) o il synth pop eurythmico degli All the Damn Vampires. Nei fatti la performace di Thornton amplia (e consacra) quella che probabilmente è oggi – con buona pace per lo storico It – la più potente materializzazione cinematografica dell’incubo di qualsiasi persona affetta da coulrofobia. L’afonia e movenze da mimo assurgono rispettivamente a metafore di disumanità e tragica teatralità, così come la scelta del puro bianco e nero per il costume esprime totale mancanza di vitalità, fatta eccezione per l’unica e frequente nota di colore che lo tinge (il sangue). E queste sono intuizioni assolutamente geniali – gli va riconosciuto. Fermo restando che non sia molto per sorreggere da solo un lavoro che purtroppo soffre di uno script debolissimo e una prolissità, soprattutto nella seconda parte che viene sancita da un non breve (e ulteriore…) epilogo post-titoli a introduzione di quello che sarà probabilmente un nuovo seguito…
Prende il merito di questa distribuzione nel mondo dell’home video nostrano l’attivissima Midnight che con il suo slipbox a 3 dischi contentente anche il prequel “All Hallows’ Eve” va a colmare parzialmente un vuoto a seguito dell’uscita di catalogo del capitolo intermedio, al momento reperibile solo nelle edizioni Cinemuseum che hanno raggiunto quotazioni a dir poco ridicole.
A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.
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