Storia di Piera

di Marco Ferreri (1983)

durata: 107’
produzione: Italia / Germania Ovest / Francia
cast: Hanna Schygulla, Isabelle Huppert, Marcello Mastroianni, Bettina Grühn, etc
sceneggiatura: Piera Degli Esposti, Dacia Maraini
fotografia: Ennio Guarnieri
musica: Philippe Sarde

Tratto dall’autobiografia dell’attrice e futura collaboratrice Piera Degli Esposti, con questa pellicola Ferreri assesta l’ennesimo pugno nello stomaco allo spettatore nel nome dell’Arte. Senza bisogno di efferatezze, crudezza, violenza (almeno fisicamente coercitiva), ma semplicemente rappresentando – nella maniera che solo lui e pochi altri sapevano fare – la vita attraverso l’esistenza. Quello dell’infanzia di Piera (i primi 40 minuti circa) è un quadro di tragico disagio magnificamente filtrato dalla sodale, ma non connivente camera del regista che trova il suo apice di inconsapevole (da parte della madre di Piera) crudeltà nella ludica “iniziazione” della ragazzina. Una sequenza memorabile dove l’autore decide di allontanarsi con l’obiettivo, ma la pesantezza dell’accadimento grava sullo sguardo. I confini tra pudore e stupore, trasgressione e ribellione, amore e calore e così avanti…vanno ben oltre l’assonanza. Un bacio diventa ricerca di conferme, si denuda di malizia, ma senza per questo non lasciar posto a malata morbosità che non risparmia alcun limite di promiscuità o rispetto dei doveri e confini etici genitoriali; e che degenera e si rigenera nel tempo come l’identità sessuale della giovane protagonista. Inizialmente interpretata da una straordinaria Bettina Grühn, ai tempi solo dodicenne, ma già per ruolo attoriale e fisicità proiettata verso una maturazione sessuale fatta di non sola emulazione del personaggio della madre. Successivamente, scorrendo dalla perplessità post-adolescenziale alla totale liberazione pansessuale il ruolo passa a quella certezza interpretativa che è Isabelle Huppert, quasi trascendentale nella meta-rappresentazione finale della “Medea” [con cammeo vocale della Degli Esposti]. Altri cammei, fisici, di Angelo Infanti nel ruolo del regista teatrale e compagno della suddetta e Loredana Bertè – apparente sbavatura del film – che dopo la tragedia di Euripide sembra quasi voler con un’esecuzione live di “Sei bellissima” riportare alla forzata frivolezza del quotidiano il pubblico astante. Attraverso Eugenia, madre di Piera, la premiatissima ‘fassbinderiana’ Hanna Schygulla delinea efficacemente un personaggio dove la totale assenza di moralità è debellata dalla malattia mentale e la tenerezza che suscita. La stessa che probabilmente legano ad essa il marito, paziente, forse oltre le sue capacità psichiche (complice in tal senso la forte tolleranza connotatagli dalla sua estrazione culturale e militanza politica), al punto da logorarlo irrimediabilmente. Ruolo ricoperto alla fine da Marcello Mastroianni dato che De Volontè rifiutò la parte per il basso profilo politico del ruolo de facto da sindacalista, che a suo avviso doveva avere. Un’interpretazione sfuggente e carezzevole, ma che esplode per la struggente carica emotiva in concomitanza con la prima presa di coscienza della sua incipiente malattia mentale; sorta di ultimo tentativo empatico di legame con una moglie a cui l’attenzione di un solo uomo non può dare pace. Il taglio del film, romanzato (lo si spera affettuosamente per la pace interiore dell’autrice, scomparsa poco più di un anno fa) porta in scena un’opera dove ‘candidamente’ pedofilia, istigazione sessuale e incesto convivono alla luce del giorno. La stessa luce che illumina l’astio di una repressiva carica di polizia a cavallo contro una pacifica manifestazione studentesca e l’omertà di una comunità che guarda impassibile la progressiva distruzione di una legittima innocenza e dei suoi preziosi ritmi formativi. Il tessuto sonoro intrecciato dall’abituale Philippe Sarde, reso ancor più coeso dalla melodia ricamata dal sax di Stan Getz rende l’atmosfera pregna di lascivia onirica, ma sempre a un passo da un glaciale risveglio.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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