Il tempo dei primi – Spacewalker

di Dmitrij Kiselev (2017)

Lo spunto biografico della prima ‘camminata nello spazio’ compiuta dall’astronauta russo Leonov e l’approfondimento del momento storico delle difficili scelte logistiche e umane proprie della Guerra Fredda forniscono al regista l’humus narrativo ideale per lo sviluppo un’epopea spaziale intrisa di connotazioni politiche, ma anche esistenzialistiche.

titolo originale: “Время первых” (Il tempo dei primi)
durata: 140’
produzione: Russia
cast: Evgenij Mironov, Konstantin Chabenskij, Vladimir Ilyin, Anatoliy Kotenyov, etc
sceneggiatura: Jurij Korotkov, Sergej Kalužanov, Irina Pivovarov
fotografia: Vladimir Bašta
musica: Jurij Poteenko

Quello di Kiselev è un cammino formativo ufficialmente poco prolifico sul piano prettamente personale: un film corale (“Ёlki”, 2010 – insieme ad altri registi tra cui Bekmambetov di cui sarà aiuto regista e montatore rispettivamente in “Day Watch” e “Night Watch”), poi di nuovo aiuto regista per Gorak (“The Darkest Hour”) e il resto non è dato a sapere. O forse semplicemente non è dato…ma quello che realizza con questo suo primo lungometraggio (lungo anche di durata, tuttavia mai tedioso) con tanto gusto e personalità è qualcosa di lodevole.

Soprattutto se si tiene conto che c’è una maggiore propensione a contenere un certo sensazionalismo effettistico a favore di semplici ed economici sequenze che trovano la loro forza in un coinvolgimento empatico dello spettatore, talvolta dovuto a una comune fobia (es. l’acrofobia di un astronauta che ‘scende’ dalla navicella) o la fanciullesca meraviglia nell’affacciarsi per la prima volta su un paesaggio mai osservato.

Certo, ci sono alcune sbature nei dialoghi: la frequente raccomandazione da parte dei russi a Dio in piena Guerra Fredda o una certa libertà nel parlare del capo del Soviet Supremo, ma forse – analogamente al terribile Comic Sans usato come font per le didascalie coprenti italiane – questo è solo dovuto al comparto traduzione.

Il film di per sé è girato magistralmente ed è capace – cosa non scontata in un panorama di genere produttivamente esuberante – di creare tensione nello spettatore, nonostante si tratti di qualcosa di non esattamente inedito (non mancano riferimenti a “2001: Odissea nello spazio” o “Apollo 13”, ma anche “Top Gun”, “Space Cowboys” o “Everest”).

La fotografia, pulita e talvolta ricercatamente solare anche dove il contesto geografico non lo consentirebbe è perfettamente preparata nell’assecondare tecnicamente alcune piacevoli digressioni sperimentali del regista, come l’idea degli eventi filtrati specularmente attraverso particelle di saliva fluttuanti.

Ma palesa anche un lavoro di ricerca cromatica estremamente selettivo e che trova un apice poetico nel dettaglio probabilmente sfuggente del cappottino arancione della figlia di Leonov che corre incontro al padre alla fine e che riprende il colore della scaletta dell’aereo, metafora di salvezza.

Con l’eccezione dei i momenti più asfittici all’interno del Voschod 2 e che fanno più leva sulla situazione che sull’interprete (es. claustrofobia che può derivare dalla sequenza della chiusura dello sportello, con richiami a un attorcigliamento di cordone ombelicale), la performance attoriale si assesta senza attimi memorabili, ma complessivamente funzionale.

Fanno parte del cast volti noti all’est [Chabenskij per i suddetti due film di Bekmambetov o il suo “Wanted”] e altri meno, come lo stesso protagonista (forse il meno convincente), Vladimir Ilyin (che proviene dal teatro) o il bielorusso Anatoliy Kotenyov (onnipresente nel palinsesto russo).

Ottima anche la colonna sonora classicheggiante, ma non troppo di Jurij Poteenko, che lascia il testimone sui titoli di coda a una canzone russa di adeguato gusto sessantiano.

Il montaggio che accompagna in frequente alternanza la storia e i ricordi del protagonista principale Aleksej Leonov [Evgenij Mironov] fin dalla sua infanzia oscilla tra l’onirico e il profetico.

E con l’accortezza di imbrigliare tutto quel nozionismo tecnologico che talvolta distrae la fruizione di questo genere cinematografico, compie sul finale il passo definitivo verso un ottimo film fantascientifico di amicizia e sopravvivenza che non resta relegato oltre i confini dell’esosfera.

Leonov, pittore concreto e astronauta spericolato, assecondando l’atmosfera che pervade l’intera impronta narrativa, è indubbiamente un eroe romantico che tuttavia sembra coniugare le due componenti dell’anima futurista di Chlebnikov: scienza e arte che attraverso la comunic-azione portano l’espressione a un livello più alto di compimento ed interpretazione/rappresentazione dell’esistenza stessa.

E forse è questa consapevolezza il segreto della sua assenza di paura, determinante per la riuscita – seppur in benevolenza del fato – della missione che oltre la dimensione nazionalista esprime il desiderio di riscatto da un’infanzia difficile nell’assertività di un idealismo individualista in odore di patria.

Il film è disponibile sia in BD che DVD, prodotti e distribuiti dalla Eagle Pictures (collana “Sci-Fi Project”) nel 2018. Esiste anche una versione 3D tedesca (Capelight Pictures) in steelbox, che racchiude come sempre anche un secondo disco con la versione standard del film. La copia da me visionata è un blu ray [amaray bianco con copertina a stampa bifacciale, anche se l’altro lato è solo una variante – il che spiega il non utilizzo di un amaray trasparente – con il nome, anzi il logotipo scritto correttamente nella costoletta]. EAN: 8031179953714

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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