Silent Hill

di Christophe Gans (2006)

durata: 125’
produzione: Canada / Francia
cast: Radha Mitchell, Laurie Holden, Sean Bean, Jodelle Ferland, Alice Krige, Deborah Kara Unger
sceneggiatura: Roger Avary
fotografia: Dan Laustsen
musica: Akira Yamaoka, Jeff Danna

Non frequente caso di film ispirato a un videogioco – operazione che mi è sempre parsa un’offesa peraltro pigra al mestiere dello sceneggiatore – che fa il suo sano dovere di genere. Nello specifico: horror. Come prevedibile, a livello narrativo ci sarebbe molto da discutere (parlo di elaborazione di script, di sviluppo delle vicende, etc ovviamente, non di contenuti in sé) e non mancano purtroppo gli stereotipi situazionali (uno su tutti: il male che retrocede con la luce del giorno). Ma andando oltre – sarebbe da dire oltre il ponte del film, viste la palese strumentalità e quasi fretta con cui sono state filmate le sequenze iniziali – viene generosamente compensata l’attesa dello spettatore. Ottimamente girato, con una certa predilezione per i dutch angles, affiancato dalla fotografia notturna avvolgente di Lausten (straordinario DOP danese già ingaggiato nel precedente film e consacrato da Del Toro) e da effetti speciali che raramente denunciano l’arteficio digitale. E mai come in un contesto simile questo rappresenta qualcosa di scontato. Dall’attitudine generica videoludica sicuramente eredita l’opulenza e varietà di avversari (si noti che post-editing a parte molte creature mostruose sono impersonate da umani veri, istruiti per movimenti di precise coreografie / palese in almeno un paio di sequenze la formazione alla danza), così come l’attenzione del casting all’appeal di determinate forme femminili [vedi la sexy poliziotta in total leather look interpretata da Laurie Holden]; e non ultimo la gestione del tempo fisico e mentale. Stupendamente metafisico il personaggio di Pyramid Head (l’esecuzione sanbartolomeica fuori dalla Chiesa merita da sola la visione del film) cosi come l’apparizione / vendetta finale di Alessa Gillespie [uno dei due ruoli ricoperti dalla giovanissima ma già navigata Jodelle Ferland] fortemente debitrice all’immaginario barkeriano dei Cenobiti. Recitazione generale – preponderantemente al femminile [villain inclusa / un’allucinata Alice Krige]- più che convincente e capacità tensionali sopra la media; non fosse altro per il contributo del visionario impianto scenografico mutante. Cammeo di Deborah Kara Unger: scoperta da Lynch, lanciata da Cronenberg, resa irriconoscibile da Gans (fatta eccezione per il suggestivo flashback reso come found footage). Commento sonoro costituito da diversi brani estrapolati dai vari episodi della saga, scritti con gusto, orecchiabili, ma non banali. Sound design che pur assecondando i jumpscares del caso non ci presenta niente di trito, per fortuna, ma è penalizzato purtroppo da un antipodico mixaggio audio che almeno nella versione del film che ho rivisto mi ha costretto a tenere il telecomando in mano per tutto il tempo. Sirene e ceneri dal cielo rimandano all’immaginario lageriano seppur in un contesto di prigionia mentale dove la post-contemporanea attività inquisitoria – non manca una citazione della celebre incisione secentesca di Jan Luyken – si ammanta di tangibile e sulfurea atmosfera extradimensionale.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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