Rosso sangue

di Joe D’Amato (1981)

A seguito della realizzazione del cult “Antropophagus” (di cui il film è stato strategicamente presentato come sequel), passando dal cannibal movie allo slasher, lo storico e prolifico regista romano consegna il suo personale omaggio agli appassionati del genere. Un lavoro di fattura artigianale CON innegabili limiti, ma DI efficace crudeltà visiva e che nuovamente mette in luce la sua grande voglia (e d’altronde competenza) di confrontarsi con sempre nuove tipologie DI PRODUZIONI cinematografiche. 

durata: 93’
produzione: Italia
cast: Luigi Montefiori, Annie Belle, Edmund Purdom, Charles Borromei, Katya Berger, Kasimir Berger, Ian Danby, Hanja Kochansky, etc.
sceneggiatura: Luigi Montefiori
fotografia: Aristide Massaccesi
musica:  Carlo Maria Cordio

A parte il titolo “Absurd” e il forse più pertinente “Zombie 6: Monster Hunter”, il film venne spacciato in America come sequel di “Antropophagus” (uscito l’anno prima) anche per cercare di far partire la sorte della pellicola dai consensi di quest’ultimo…ma nello scrivere la sceneggiatura Luigi Montefiori [qui accreditato come “John Cart”] stavolta stravolse totalmente l’idea del seguito tematico; tanto che alla fine i punti in comune riscontrabili sono decisamente pochi. Il ‘mostro’ è sicuramente greco (a scanso di equivoci porta dracme in tasca), ha il nome greco di “Mirkos Tanopoulos” (dove “Thanos” rimanda chiaramente al dio della morte per assonanza con la parola greca “θάνατος”/morte) e l’attore è sempre lui, stavolta riconoscibile nella storica e imponente fisionomia di Montefiori [accreditato con l’abituale pseudonimo di “George Eastman”]. Accantonato qualsiasi idea di deformazione / mostruosità fisica, si opta con originalità per un pulito look casual che genera contrasto con il proprio sudiciume morale. Nell’incipit si cita l’epilogo del precedente film con l’esposizione delle propria interiora. Stop.

Non la fame, ma il sadismo diventa il motore primario del comportamento del personaggio, sorta di zombie (con la classica vulnerabilità circoscritta alla testa degli zombi e di cui nessuno quasi mai si accorge nei film del genere), la cui natura quasi “immortale” (cit.) è fonte di diatriba tra scienza e religione.

Non più antropofago, ma si nutre piuttosto della sofferenza umana, incarnando il male stesso, in una visione manichea enfatizzata dalla presenza nella storia del prete-cacciatore [l’attore inglese Edmund Purdom, allievo di Laurence Olivier e molto attivo in Italia]. Prete anche biologo con l’abitudine di effettuare esperimenti su esseri umani …e qui il pensiero va immediatamente al fulciano “Zombi 2”.

Cambia anche l’ambientazione, ora decisamente americana: l’unico legame con l’Italia sembrerebbero i gustosi spaghetti preparati durante la visione in tv di una partita di football.

Girato tutto sommato bene, anche se con un retrogusto di “bona la prima!”, ottimizzando il basso budget grazie a una sceneggiatura decisamente sobria, “Rosso sangue” ha la fama di essere il miglior slasher italiano e sono abbastanza d’accordo. Molti elementi del genere erano in realtà già presenti in alcune pellicole italiane degli anni settanta di Mario Bava, Sergio Martino o Emilio P. Miraglia, ma qui Massaccesi, almeno nella prima parte segue quasi scrupolosamente gli stilemi del genere (maschera e scelta delle ‘armi’ a parte) consegnando un lavoro molto efferato; al punto da essere bollato come “video nasty” e censurato nel Regno Unito. Risparmiandoci facili empatizzazioni come l’uccisione del cane (s’intuisce, ma non si vede), ci presenta – anche grazie a un buon make up per il periodo – scene di morte che raggiungono perfettamente il proprio intento espressivo. Una spanna sopra quella della sega a nastro.

Purtroppo però nella seconda parte il dinamismo e la tensione narrativa vengono rovinati da tempi dilatati a dismisura, al limite del soporifero. Un esempio a caso è costituito dall’interminabile montaggio alternato della ragazzina, Katia [Katya Berger] che si libera dai lacci e la cottura in forno della testa dell’infermiera Emily ancora viva [Annie Belle, con una capigliatura che omaggia “Rosemary’s Baby”]: per quanto sia chiara l’enfasi che si voleva dare all’agonia, purtroppo ci si spinge oltre i limiti morbosi della slow death.

Ma risulta tedioso anche l’inseguimento da parte dell’assassino accecato da Katia (tra parentesi, prima pseudo-paraplegica accudita dalla madre / Hanja Kochansky e improvvisamente scattante e pronta a combattere, senza neanche il minimo sintomo di torpore degli arti), sulle note di una musica diegetica a regolazione di volumi totalmente incoerente con l’ubicazione delle stanze.

E come se non bastasse alla fine occorreranno una decina di colpi di ascia (lo spettatore potrebbe domandarsi: “chi è cieco dei due?!”) per staccare la testa all’assassino. N.B. testa che a mo’ di cadeau viene grottescamente offerta dalla nostra ragazzina salvatrice – passata dall’eccessivo equilibrio consolatorio verso tutti alla flemma cruenta di chi ha liberato il mondo dall’uomo nero – all’odioso fratellino di ciavarriane sembianze Willy [Kasimir Berger, fratello anche nella vita reale]. Tutto questo mostrando Katia insanguinata come la Carrie di De Palma.

Restando in tema di citazioni, sicuramente un altro richiamo evidente è il carpenteriano “Halloween”: l’ “uomo nero”, la figura che ricorda lo psichiatra Sam Loomis che insegue l’assassino, la già citata componente slasher [per cui il film di Carpenter è identificato come capostipite], ma anche l’idea della baby sitter massacrata; ricordando che in origine “Halloween” doveva trattare vicende di serial killer che uccidevano baby sitter lasciate a custodire bambini mentre i genitori erano a giro a farsi gli affari propri [titolo originario: “The Babysitters Murders”, poi strategicamente cambiato anche perché uscì in sala proprio nel giorno di Halloween]. Baby sitter che d’altronde alle volte uno si domanda per quale ragione l’abbia assunta: quando la radio trasmette la notizia del serial killer in giro e trova il filo del telefono tagliato, lei praticamente sbatte fuori il bambino chiedendogli di andare a piedi, di notte, attraversando strade buie a cercare i genitori che sono a cena nei paraggi…

Non male la colonna sonora a base di synth analogici / FM e organo, ricca di modulazioni, per quanto purtroppo piuttosto derivativa (Goblin in primis). Si tratta della prima collaborazione con Cordio (che si protrarrà fino ai primi anni ’90), già celebre per aver riarrangiato la prima versione della sigla del cartone animato “Jeeg Robot” [tra parentesi avendo l’idea di aggiungere il suono di Minimoog alla composizione originale di Michiaki Watanabe].

Scambio di battute memorabile / la madre della ragazza al padre [Ian Danby]:
“(…)che hai?…ti vedo strano.”
“Ma, niente…ho (solo) investito uno con la macchina e non mi sono fermato”.

A tal proposito, cammeo di Michele Soavi [a quei tempi al servizio del regista con varie mansioni] nel ruolo del motociclista ucciso dopo un arresto del proprio mezzo dall’assassino investito.

Massaccesi qui si firma con l’ennesimo pseudonimo [“Peter Newton”] prelevato da uno sconfinato elenco di nominativi che alle volte ho sospettato fosse stato ideato più per raggirare il fisco che per assecondare una passata attitudine esterofila italiana (molto presente anche nella musica); e ‘ovviamente’ usa un ulteriore pseudonimo per i credits della fotografia [“Richard Haller”]. Ha infine – e anche per questo un po’ lo amiamo – la consueta ennesima rischiosa idea per complicarsi la vita con la censura: auto-citandosi, mostra la baby sitter che guarda / fa guardare “Sesso nero” al bambino e si arrabbia quando questo cambia canale… Fortunatamente una parte non discinta della pellicola del ’78 ca che ricordiamo esser stata il primo film pornografico uscito (nel 1980) nelle sale italiane…

Il film, una volta transcodificato in digitale, è stato stampato in diverse edizioni blu ray, ma – come purtroppo spesso è accaduto per i film di genere diventati di culto – solo per il mercato estero.
Le prime che mi vengono a mente (con il titolo “Absurd”) sono quelle della 88 Film o quella con doppio disco della Severin.
Altre versioni in dvd che ho visto sono quelle della Mya Communication (con il titolo “Horrible”) o della Trash Collectors (con il titolo “Absurd – Terror sin limide”), ma ne esistono a decine…con gli immancabili bootleg del caso. L’importante se comprate a scatola chiusa è non confondersi con l’ottimo film omonimo di Leos Carax del 1986.

La versione ‘ufficialmente’ italiana è quella in DVD rimasterizzata in HD del 2020, pubblicata da Quadrifoglio e distribuita da Serendipity (classico DVD box con copertina a stampa monofacciale) – Codice EAN: 8181120220355.
La versione che tuttavia ho visionato è sempre dell’inglese 88 Film (collana “The Italian Collection”), ma in DVD del 2017 – uscita insieme a quella in BD- con restauro in 2K da negativi originali (DVD box trasparente con copertina a stampa bifacciale che consente l’inversione tra cover/titolo della locandina originale e quella per il mercato estero).
Il disco presenta entrambe le versioni del film: quella italiana di 84’ e quella per il mercato inglese di 90’ – codice EAN: 5060103798629

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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