Ricomincio da tre

di Massimo Troisi (1981)

L’esordio alla regia di Troisi porta a compimento il passaggio a un format di comicità di più ampio respiro divulgativo, ma sottende con robustezza un’esperienza che ovviamente raccoglie quanto maturato negli anni di attività cabarettistica precedente e che già aveva delineato il suo peculiare modo di reinterpretare i precetti della commedia dell’arte attraverso una sensibilità moderna e dissacratoria.

durata: 108’
produzione: Italia
cast: Massimo Troisi, Lello Arena, Fiorenza Marchegiani, Lino Troisi, Vincent Gentile, Marina Pagano, Renato Scarpa, Marco Messeri, etc
sceneggiatura: Massimo Troisi, Anna Pavignano
fotografia: Sergio D’Offizi
musica: Pino Daniele

Sfaldatosi lo storico trio de “La Smorfia” (per defezione di Enzo Decaro dovuta a divergenze artistiche, ma non solo), il comico napoletano ne raccoglie il modus operandi e le basi di consenso e si appresta al passo successivo, anche in ragione di una crescente domanda del periodo.
Aiutato nella stesura della sceneggiatura dall’allora compagna Anna Pavignano (che in realtà continuò a collaborare con lui oltre la propria relazione) e accompagnato dall’altro storico membro del trio – un meravigliosamente snervante Lello Arena, capace di devastare qualsiasi limite di prossemica del protagonista – Troisi/Gaetano riporta su pellicola la precedente formula degli sketch, ma con la continuità narrativa di una storia di edificazione.

Edificazione che quasi metaforicamente parte dalle travi che sorreggono malamente il palazzo fatiscente della sua vecchia dimora che sembra sopravvissuta al sisma dell’Irpinia del 1980, proseguendo nell’inconsistenza del proprio quotidiano, fatto di frequentazioni e consuetudine sempre più ripetitive e avvilenti; come il proprio lavoro di venditore pendolare di aranciata.

Sketch in napoletano, meno aulico di quello di De Filippo, certo, ma con il merito di compensare tutto quello che poteva sfuggire allo spettatore non avvezzo al dialetto con una straordinaria gestualità, mimica facciale e un tempismo comico di precisione quasi agonistica. Al punto che la parola stessa, avvolta in una fonazione quasi inversa come specchio di un’introversione diviene solo orpello linguistico, ma buona parte della comunicazione e significazione si appoggia spesso anche su un semplice sguardo; quando si vorrebbero dire cose che superano la buona educazione o si aspetta una risposta che ci si aspetta e spaventa.

Il contrasto culturale tra Sud e Nord – qui emblemizzato in una poco romantica storia d’amore tra Gaetano e Marta, un’infermiera di una clinica di igiene mentale [Fiorenza Marchegiani, che mette in atto una convincente rappresentazione di femminismo non stereotipato] – diviene terreno di crescita interiore per il protagonista, di superamento dei propri condizionamenti psicologici ed emancipazione attraverso la guida anche affettiva di lei da un tenore di vita e forma mentis in cui non ci si rispecchia più.

Firenze, città d’arte assurge a luogo di fuga nel tempo (viaggio) dal tempo (anacronismo) del luogo nativo e il provincialismo che lo affligge. Il passato lo insegue, ma imparando a bilanciare i propri doveri familiari o amicali si apre la prospettiva di una propria indipendenza.

Nel percorso, cammei di Marco Messeri (nel ruolo di un inquietante ospite della suddetta clinica) e Michele Mirabella (stressato e paziente abituale della stessa struttura).

Percorso affrontato con poveri mezzi – dall’autostop all’ospitalità altrui – e senza spezzare però un altro filo conduttore che diviene abile pretesto di satira (e leitmotiv del teatro di Troisi), cucito da superstizione, ingerenza e discutibile esercizio della professione di fede: palese critica a un sistema ideologico che obnubila con speranze e interpretazioni ad hoc la propria incapacità (allineata con altri e alti vertici) di risolvere le problematiche giovanile che i suoi coetanei devono affrontare; precarietà lavorativa o peggio disoccupazione e incertezza per il futuro innanzitutto.

C’è amara auto-ironia nell’ossessione di Gaetano di esercitarsi con la telecinesi come possibilità di carriera mediatica e conseguente svolta economica. Se questa è l’unica speranza di cambiare la propria vita è giunto forse il caso di riprenderla in mano e ricominciare da capo o, meglio, come specificato fin dal titolo, quasi da capo, perché almeno tre cose buone in vita sua le ha fatte.

Un filo di inconsapevole ma viscerale ribellione a un approccio kierkegaardiano al silenzio di Dio immerso in una folla umana urlante di bisogno, che parte da casa sua, dal prete di paese che illude il padre monco/invalido riguardo a una possibile ricrescita della mano: un bravissimo Lino Troisi [N.B. non parente nella vita reale] che – dandole del “Voi” – prega ogni sera la Madonna per avere il miracolo, possibilmente durante il sonno – per non impressionarsi – e non esita a fornirle il nuovo indirizzo di residenza nel caso tardasse.

E finisce a Firenze (ma il riferimento è ovviamente universale) con un mormone [Vincent Gentile] che con fare liberatorio e accento liberatore-americano professa sì amore non casto, ma non per questo si sottrae all’assecondamento del bigottismo della vecchia generazione pur di – parafrasando – “vendere porta a porta Gesù, come un’enciclopedia”.
L’episodio in tal senso di Robertino [l’altro grande compianto: Renato Scarpa, scomparso l’anno scorso] – transfert inatteso della propria timidezza – e i suoi ‘complessi’ alimentati dall’anziana e castrante madre ha fatto storia e ci offre un fine-scena in cui Troisi per spontaneità sembra quasi uscire dal copione e superare il confine fisici dello schermo.

Sulle note sospese e danzanti del caratteristico lessico melodico di Pino Daniele (amico/collaboratore di lunga durata a partire da questo film e a lui molto legato anche per un comune quadro – e aimé decorso – clinico), il tormentone dell’“emigrante” affibbiatogli da chiunque scopra la sua provenienza geografica (iperbolizzato con un minaccioso dito puntato da un autoritario medico tedesco) suona quasi come una condanna da metabolizzare e la cui accettazione, rassegnata, ma ironica è solo il punto di partenza per la costruzione di una nuova identità.

Il tempo di un simbolico dialogo con se stesso allo specchio sull’autocoscienza della propria gelosia e improvvisamente per Gaetano giunge il momento di affrontare la realtà di una persona che crede forse poco in se stessa, ma realizza l’importanza del proprio sentimento. Il folklore resta patrimonio importante, ma viene confinato oltre un autoprotettivo recinto invisibile di pregiudizio oltre il quale si prospettano scelte maggiormente mature e consapevoli. Scelte mascherate e deviate con la leggerezza della disquisizione sul nome di un figlio biologicamente non proprio, ultimo sipario umoristico che consegna in sordina una delicata riflessione sulla genitorialità attraverso la propria rara forma di pragmatismo sognante.

Il film è stato stampato in diverse edizioni DVD (es. dalla IIF Home Video nel 2004 o 2009 con distribuzione Eagle Pictures), alcune fuori catalogo e praticamente è introvabile la versione ridigitalizzata del 2014 (sempre per IIF) in blu ray, che ha preceduto la ri-proiezione nelle sale italiane nell’inverno dell’anno successivo.
La versione in DVD da me visionata è quella del 2020 completamente restaurata in 2K (dalla Cineteca Nazionale) da negativi originali – Codice EAN: 8031179981403

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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