Piano 17

dei Manetti Bros (2006)

durata: 85’
produzione: Italia
cast: Giampaolo Morelli, Elisabetta Rocchetti, Giuseppe Soleri, Enrico Silvestrin, Antonino Iuorio, Massimo Ghini, etc
sceneggiatura: Manetti Bros, Giampaolo Morelli
fotografia: Fabio Amadei
musica: Pivio e Aldo De Scalzi

Come fare un film con tre locations e mezzo e quattro attori [N.B. con i nomi degli Evangelisti] senza annoiare. Glissando su “Zora la vampira” che – come essere diplomatico? Non ho capito… – questo secondo lungometraggio dei fratelli Marco e Antonio Manetti dimostra quanto basti poco (parlo ovviamente di risorse produttive non capacità, giacché la loro cifra cineastica è indiscutibile quanto la loro passione) a realizzare un noir che cammei a parte sarebbe forse stato ugualmente in piedi fino alla fine; ma ben vengano. Troviamo quindi Massimo Ghini come capobanda precocemente dipartito, Valerio Mastrandrea come venditore ambulante alle prese con un discutibile dialetto napoletano ed…Enzo Castellari (!) nei panni di un vigilante di banca. A dispetto del tempo narrativo che trascorre in una maniera che definire ‘dilatata’ è eufemistico il film mantiene l’attenzione alta, ma d’altronde già uno dei protagonisti – il conduttore radiofonico Pittana [Enrico Silvestrin con un look à-la-Lemmy dei Motörhead] specifica durante un esilarante dialogo in auto di argomento psiconirico quanto il tempo sia relativo. A livello di sceneggiatura si percepiscono deja vu dietro molti angoli (cfr. es. Schenkel, Di Leo, Malle e il seminale Tarantino) certo, ma tutto sta a soffiare via con classe il fumo e in questo le divagazioni attoriali (ma anche l’analessi narrativa) e il montaggio – tutt’altro che convenzionale e moderno (seppur tendente al ’videoclipposo’) al quale il consueto collaboratore Federico Maria Maneschi ci ha abituati – riescono a coinvolgere lo spettatore in quasi due ore di film. E l’accompagnamento di una trama sonora con una bass-line ossessiva svolge perfettamente il suo lavoro di collante tensionale. Qualche perplessità piuttosto resta sulla recitazione, che mi ha spesso trasmesso la sensazione di qualcosa di forzato. E’ il caso dell’interpretazione femminile [Elisabetta Rocchetti], con un ruolo certo non edificante e dalle connotazioni ‘distrattive’: probabilmente solo i registi sanno quanto sia voluto e quanto involontario nella sua performance, salvo ricordare che l’attrice è stata comunque autrice di un’ottima prova da esordiente ne “L’imbalsamatore” di Garrone. Discorso analogo sulla forzatura gigionesca del personaggio interpretato da Antonino Iuorio [dall’intenso e variegato curriculum; non ultimo un corto con Terry Gilliam/“The Wholly Family”, 2011]. Il protagonista principale [Gianpaolo Morelli / noto volto della serie televisiva “Ispettore Coliandro”, qui presente nel duplice ruolo soggettista-attore e che analogamente rivedremo partecipe nell’ottimo “Song’e Napule” del 2013 o nel più recente e altrettanto premiato “Ammore e malavita”] conserva una dissonante inflessione napoletana in un contesto romanizzato. Sommato alla saggezza “filosofica” attribuitagli in corso d’opera l’effetto finale “fa molto De Crescenzo”…ma anche questa cosa sembra salvarsi attraverso le lamentele [escamotage?] del suddetto Iurio che si dispera – stereotipizzando con una venatura ‘pop’ spesso presente nel tessuto narrativo – per i connazionali che sembrano volerlo (in)seguire ovunque. Brano guasta-film finale a cura di Max Pezzali (d’altronde parte dell’entourage dei nostri, autori di alcuni suoi video musicali) terribilmente banale e melenso; e l’inserimento in questo contesto è stilisticamente fuori luogo, decisamente…ma sto cominciando a perdere il conto delle produzioni che stanno rendendo questa scelta quasi consuetudinaria. Il titolo del film fa riferimento sia al piano dell’edificio oggetto della missione che all’ultimo stadio del modus operandi di Pittana. Citazione metacinefila in pausa-mensa: il timido co-protagonista Meroni [Giuseppe Soleri, al secolo Saccà], impiegato imbranato e segretamente innamorato della Rocchetti parla con un collega che ha la passione per la scrittura delle probabilità che potrebbe oggettivamente avere di vedere un suo lavoro selezionato da Luigi Cozzi [cit. “ma chi? Quello di ‘Scontri Stellari’?! (…)che a stento riesce ad andare avanti da solo…”]. Suona amaro, ma forse anche per la riflessione che suggerisce si apprezza maggiormente lo spirito che alimenta probabilmente questa pellicola, piccolo omaggio di due cineasti per tanti cinefili.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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