Paradiso amaro

di Alexander Payne (2011)

A distanza di circa 7 anni da “Sideways – In viaggio con Jack”, Payne torna sul grande schermo con questo nuovamente premiato adattamento, stavolta di un romanzo della scrittrice Hawaiana Kaui Hart Hemmings.

titolo originale: “The Descendants”
durata: 115′
produzione: USA
cast: George Clooney, Shailene Woodley, Amara Miller, Patricia Hastie, Robert Forster, etc
sceneggiatura: Alexander Payne, Nat Faxon e Jim Rash
fotografia: Phedon Papamichael
musica: autori vari

Ed è proprio il complesso insulare delle Hawaii il microcosmo in cui si svolge interamente la vicenda, in una sorta di America alternativa dove come raramente è accaduto in passato viene rappresentata una realtà quotidiana ben lontana dall’immaginario idilliaco e spensierato che da sempre è a quest’ambientazione associato. Non a caso la consapevolezza di dover preservare da una logorante urbanizzazione gli ultimi ereditati ettari di natura incontaminata (che poi realizzeremo rappresentare una sorta di metafora per la stessa integrità familiare) porterà a una decisione che lede tanto i propri interessi economici quanto l’ipocrita armonia con i cugini.

Questa inaspettata quotidianità viene messa a fuoco subito dalla voce del protagonista Matt King [George Clooney] che “(…)da almeno 15 anni non sale su una tavola da surf e negli ultimi 23 giorni ha vissuto in un paradiso fatto di flebo, sacche dell’urina e tubi endotracheali” [cit]. Già questa doccia fredda dà il giusto incipit alla concretezza narrativa di quanto segue. Tutto il film oscilla tra i toni di una commedia molto amara e un road movie di riconciliazione filiare. La tragedia di base (moglie Elizabeth in coma, nessuna speranza di guarigione e decine di persone a cui doverlo comunicare, a partire dalle problematiche figlie) non rende gli accadimenti immuni a quell’umorismo cinico che solo la constatazione delle assurde vicende della vita è in grado di conferire. Al capezzale della moglie, sorta di “Grande Fredda” [ben riuscita la performance vegetativa di Patricia Hastie] le persone si incontrano nuovamente, anche con la propria coscienza, talvolta rivedendo le proprie priorità e principi, talvolta dicendo quel che non devono dire e facendo quel che mai avrebbero fatto in condizioni normali.

George Clooney, depauperato della consueta maschera di piacione è un uomo di sani principi che se da un lato viene messo in croce per la sua passata assenza (la stessa che parrebbe aver portato la moglie a tradirlo e ingenuamente a innamorarsi del primo approfittatore di turno / un agente immobiliare che ha interessi nella mediazione della vendita dei suddetti terreni) non impiega molto a delinearsi come figura squisitamente affettiva perfettamente equilibrata e saggia sotto il profilo decisionale, tanto familiare quanto etiche (i terreni vergini rappresentano anche quel che resta dell’identità paesaggistica e quindi culturale del luogo).

Le sue debolezze spesse sono più sorrette da penitenziali dichiarazioni di fragilità e richieste di aiuto che da un’oggettività comportamentale. E probabilmente questa qualità di base è ben presente nella bilancia preferenziale della figlia maggiore Alexandra [Shailene Woodley] che per lui – dopo aver scoperto l’adulterio – ha litigato con la madre prima del fatale incidente di lei ed è lui che – una volta soffocata la propria disperazione nell’ottundimento di una piscina sporca (poetica la sequenza subacquea) – decide di aiutare; prima negli incresciosi obblighi comunicativi della situazione e poi nella sua ricerca dell’amante della moglie che Matt nobilmente decide di avvisare. Ed è infine lui che difenderà senza esitazione quando il conservatore e ostile nonno [un ottimo Robert Forster che usa la maschera dell’ottusità per nascondere la ‘poco virile’ fragilità di padre] vomiterà il suo ennesimo rigurgito di livore verso il genero, ritenuto indegno di una figlia così “fedele e devota”…

I personaggi secondari della storia in tal senso fungono da corollario nella constatazione di questa qualità. Matt sa infatti gestire il proprio dolore, il proprio orgoglio maschile, il proprio istinto di vendetta (il massimo che attua è un bacio rubato alla moglie dell’amante di Elizabeth) e sa quando è il caso di perdonare e indurre al perdono intelligente. In una sorta di martirio testosteronico recupera la parte femminea delle proprie energie intellettive per il corretto e ora ampliato svolgimento del proprio ruolo parentale con le due figlie; inclusa l’imbranata minore Scottie [Amara Miller] in evidente deficit d’accudimento. E con esso recupera infine il giusto bilanciamento emotivo con il ricordo della moglie “amore e pena” baciato per l’ultima volta sul letto di morte e simbolicamente iconizzata nella coperta ospedaliera con cui nell’ultima scena tutti e tre si copriranno e ricongiungeranno mentre osservano la televisione.

Grossa nota negativa invece sull’ingombrante colonna sonora di autori vari, in parte costituita da pezzi tradizionali, che se da un lato comprendo nella scelta stilistica – efficace nel contrasto dei toni agrodolci o l’assoluta opportunità di alcuni momenti diegetici (in primis la live performance folkloristica) – dall’altra ho trovato davvero ridondante, terribilmente snervante (ho fatto davvero fatica a proseguire nella visione solo per colpa della musica) e timbricamente inadeguata alla sonorizzazione di determinate scene che avrebbero richiesto una scelta strumentale meno ortodossa.

Il film è uscito in Italia nel 2012 per la 20th Century Studios e distribuito dalla Walt Disney sia in DVD che BD, entrambi fuori catalogo ormai.
Blu ray da me visionato: classico amaray blu, con copertina a stampa monofacciale. Inserto per scaricare la copia digitale migliorata uscita successivamente* EAN: 8010312099328

* Esiste anche una versione (stesso codice EAN, ma facilmente riconoscibile dalla banda blu sovraimpressa sulla parte alta della copertina) dove la suddetta copia digitale è stata pubblicizzata. Presumo quindi che la mia versione sia la prima stampa.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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