Miami Vice

di Michael Mann (2006)

Da executive producer demiurgo a regista e sceneggiatore ufficiale Michael Mann ha colmato questi circa vent’anni intercorsi dalla prima puntata di “Miami Vice” con una crescita artistica mai adagiata sugli allori e di cui il film omonimo del 2006 non può che beneficiarne totalmente, ereditandone l’esperienza registica maturata. Sotto ogni aspetto. Senza lasciare niente al caso. Ancora una volta.

sceneggiatura: Michael Mann
durata: 133’
produzione: USA / Germania / Uruguay / Paraguay
cast: Colin Farrell, Jamie Foxx, Gong Li, Naomie Harris, John Ortiz, Luis Tosar, Barry Shabaka Henley, Ciaràn Hinds, Eddie Marsan, etc
fotografia: Dion Beebe
musica: vari

L’idea di base cronachistica del primo script di Yerkovich (traffici illegali vari che affliggevano la Florida negli anni ’80) ampliata e modernizzata (cambia colore e modello la Ferrari, si attingono a etnie diverse per alcuni personaggi, si aggiungono ovviamente tecnologie e relativo uso improprio) trova in Mann un attento osservatore. Il suo sguardo consente allo spettatore fin dai primi secondi di clubbing serale di vivere in prima persona – grazie al verismo di una costante camera a mano o all’accorta angolazione delle continue riprese con personaggi di quinta – l’atmosfera crepuscolare, ma pulsante di sordida vitalità che pervade la Miami notturna.

Verismo ex abrupto (il film comincia senza opening titles/tutto è procrastinato alla fine del racconto) e bilanciato su un tratto documentaristico talvolta volutamente grezzo (non mancano neanche scavalcamenti di campo o perdite di fuoco) che ovviamente trova ampia compenetrazione nelle immancabili sparatorie a cui la serie ci aveva abituato e qui molto curate sia sotto il profilo balistico che effettistico; o nella singolarità episodica di un investimento di un informatore: nessuna acrobazia, sguardi incrociati o spettacolarizzazione, ma solo una silenziosa strisciata di sangue dietro il camion che avanza, veloce come una pista di coca. Asciuttissimo (quasi).

E nuovamente Mann ci sorprende nell’approccio che invece ha con le scene di sesso, meravigliosamente anti-hollywoodiane, ma non morbose quanto piuttosto discretamente attente alla contemplazione emotiva o alle pause di desiderio dei personaggi.

Il montaggio in generale è magistralmente opulento di soluzioni narrative originali e coinvolgenti. E raramente la splendida fotografia (merito del DOP australiano Dion Beebe, probabilmente galvanizzato dal contestuale Oscar per il suo lavoro dell’anno prima in “Memorie di una Geisha”) – che oscilla tra misurata cristallinità diurna e degli interni e una grana fosca di friedkiniana memoria negli esterni notturni – ci consegna una luce che mai in qualche modo possa allinearsi con la spensieratezza a cui talvolta l’affollata città è associata.

Anzi, fortemente debitore in tal senso a quanto dipinto precedentemente da De Palma attraverso gli occhi di Tony Montana, Miami è luogo di subterranea criminalità e che lusso di chi può viverlo e sfarzo legato ad attività losche a parte, lascia poca speranza alla proiezione futura di una vita serena o una morale pietosa.

L’amore stesso vive tra tutte le difficoltà e i rischi quotidiani scaturiti dal mestiere o dalla parte di scacchiera morale scelti nella propria esistenza.

Nel minacciato idillio tra i colleghi Ricardo ‘Rico’ Tubbs [Jamie Foxx] e Trudy [Naomie Harris], che rischia la morte, ma si salva grazie all’impazienza (qualche istante di attesa in più e qualche metro di meno e l’esplosione le sarebbe stata fatale).

Nella frustrazione del desiderio (e tutta la carica emotiva espressionista del primissimo piano sui suoi occhi che si bagnano alla vista dell’intimità nel ballo di Sonny e Isabelle) del criminale informatico Jose Yero [John Ortiz].

Nella storia impossibile tra appunto James ‘Sonny’ Crockett [un Colin Farrell, meno dandy e charmante di Don Johnson, ma complessivamente convincente] e la sopraccitata, come sempre splendida Gong Li (Isabella) – qui capace di assorbire sensualità latina dall’ambiente e coniugarlo con fascino esotico – che assurge nello sviluppo emozionale del proprio personaggio a emblema di una normalità (conto svizzero a parte) che non può più intersecarsi con la vita di Sonny il cui destino è quello di lasciarsi assorbire dalla ombra della città e dalla missione a cui appartiene. Perché “(…) Il tempo è fortuna…e la fortuna si è esaurita. …ed era troppo bello per durare”.

Cammei ‘ovviamente’ in ruoli negativi di Luis Tosar [attore portato qualche anno dopo alla ribalta spagnola da autori come Monzòn, Balaguerò o Plaza], glaciale, flemmatico boss del narcotraffico capace di comunicare con silenzi dialogici (nella limousine) e corporali (quando rivede la registrazione della ‘moglie’) indescrivibile angoscia.
O il caratterista Tom Towels [il cui debutto forse qualcuno ricorda nell’ormai cult “Henry pioggia di sangue” di John McNaughton] nel ruolo di un criminale a capo di un fratellanza ariana.

La musica che ai tempi della serie aveva avuto il pregio sia di valorizzare l’approccio strumentale dei sintetizzatori che l’abbandono di musica non originale, cover, etc qui si sposta spesso verso i lidi più convenzionali del rock (soprattutto le parti action), ma emerge il contributo nei momenti più intimisti di John Murphy – che svolge comunque un efficace, variegato e convincente lavoro di composizione attento al mood della sonorizzazione originale – o dei post-rockers Mogwai, come nel suggestivo finale giocato su strumentazione ibrida e intervalli modali orientaleggianti.

Pochissime le perplessità sulla sceneggiatura suggerite da una pellicola che tiene con il fiato sospeso fino alla fine, seppur per rilasciarlo amaramente nella sequenza di Isabelle che si allontana in motoscafo verso la clandestinità: la provoloneria alla luce del sole di Sonny con quest’ultima prima di un drink dietro l’angolo (Cuba…), altrove cronaca di una morte annunciata data la sua ufficiale relazione e appartenenza a un boss spietato…ma fidiamoci dell’azzardo di un fugace corrisposto sguardo incrociato precedente…

E poi la maestria circense della miracolosa granata che salta fuori, viene presa al volo e armata durante l’ottima sequenza dell’ incontro con il diffidente Josè.

Oppure la completezza fleminghiana dell’addestramento tattico-militare dei nostri: guida aerea allineata anti-radar, incursioni armate per liberare Trudy, etc. non male per due griffatissimi detective.

Ma accantonato questo, il film si sviluppa sfiorando la condizione di capolavoro per il genere, raffinato in qualsiasi attimo di distrazione (difficile nascondere la classe), non fosse altro per le struggenti vibrazioni consegnatoci dalla metacomunicazione delle mani degli attori: interpreti di quello che la camera non può dire.

Il film è uscito in Italia per la Universal e distribuito dalla stessa sia in DVD (2007 edizione standard / 2008 edizione slipcase) che BD (2008).
Tutte e tre le edizioni sono ormai fuori catalogo.
Blu ray da me visionato: classico amaray blu, con copertina a stampa monofacciale.  Codice EAN: 5050582595192

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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