Mad Heidi

di Johannes Hartmann & Sandro Klopfstein (2022)

durata: 92’
produzione: Svizzera
cast: Alice Lucy, David Schofield, Kel Matsena, Max Rüdlinger, Casper Van Dien, Pascal Ulli, Almar G. Sato, etc.
sceneggiatura: Sandro Klopfstein, Johannes Hartmann, Gregory D. Widmer, Trent Haaga
fotografia: Eric Lehner
musica: Mario Batkovic

Le premesse per un piccolo cult ci sarebbero tutte: (primo?) swissploitation della storia, personaggio (ma anche tradizione e costumi locali) da dissacrare, possibilita effettistiche contemporanee, locations stupende, il beneplacito anarchico di produttori come Tero Kaukomaa (“Iron Sky”), etc. Non ultimo -non richiesto e invece preoccupante- l’avvertimento sul Nero iniziale che parla del crowdfunding. Ma il budget raggiunto in realtà non è che sia stato proprio da cinema parrocchiale (mi pare di ricordare oltre i 3 milioni) e si può dire che le parti in cui ad es. il comparto VFX svolge un discutibile lavoro (es. la scena della cascata o quella micidiale della verdastra Helvetia) siano più dovute a scelte di gusto che pochezza di mezzi. A partire dalla scarsa preparazione coreografica degli allenamenti o combattimenti killbilliani, a dir poco claudicanti. Meglio – nei limiti del parossismo ricercato – le escursioni splatter. Debole, nella dialettica exploitation il contributo erotico: qualche fugace nudo, neanche integrale [come quello della protagonista, Alice Lucy] e cammeo come governante in topless del Presidente [Casper Van Dien, meglio noto per “Starship Troopers”] interpretato dalla performer abramoviciana/pornostar Milo Moiré. La storia in delirante atmosfera di totalitarismo distopico tutto sommato è divertente, anche nei suoi eccessi grotteschi; e se si riesce a sorvolare sulle qualità attoriali degli interpreti [nei migliori dei casi sopra le righe, come per l’attore Max Rüdlinger, dalla spiccata somiglianza con Joe Pesci] si riesce ad arrivare entusiasticamente quasi fino alla fine. Premesso che non ho capito esattamente nell’epilogo zombiemovie cosa accada fuori campo al nonno di Heidi [David Schofield, dal look à-la-John Ford], il montaggio non è esattamente pulito, per quanto si percepisca nell’insistenza degli attacchi sull’asse un tentativo citazionista di Leone. E a tal proposito i tributi alla musica western di Morricone, adeguati quanto il cacio sul pesce, ma da salvare in un’ottica kitsch trovano il giusto grado di autoironia nelle lamentele del suddetto che deve ascoltare in sottofondo, all’ennesimo assalto, l’iconico incipit di tromba del Maestro; poi ‘filologicamente rettificato’ con un suono di alpenhorn. Chicca finale: il ruolo di Peter – in pieno spirito blackwashing – viene affidato a un attore di colore [Kel Matsena] – N.B.: ridondantemente chiamato da tutti “Peter il pastore”, anche dal padre o da Heidi (cresciutella dai tempi di Miyazaki) quando fanno all’amore – a metà tra un cantante Yodel e un pusher di Abel Ferrara, ma con la gustosa variante di un proibito formaggio senza lattosio al posto della cocaina. Il tempo di un epilogo che rimanda a “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo e si arriva <ATTENZIONE SPOILER> a una chiusura grindhouse che lascia spazio a un possibile sequel interpretato da Heidi e la bella Almar G. Sato (Klara) diventata paraplegica dopo uno sfortunato incontro di wrestling svizzero, poco prima dell’arrivo in arena di una sorta di Minotauro (…). Che altro dire? Trash o non trash, da vedere assolutamente.

Visionabile su PRIME VIDEO a questo LINK.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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