La seduzione del male

di Nicholas Hytner (1996)

titolo originale: “The Crucible”
durata: 124’
produzione: USA
cast: Daniel Day-Lewis, Winona Ryder, Paul Scofield, Joan Allen, Frances Conroy, Jeffrey Duncan Jones, etc
sceneggiatura: Arthur Miller
fotografia: Andrew Dunn
musica: George Fenton

Delirante se fruita con occhio moderno, ma drammaticamente pertinente se contestualizzata tanto nel periodo storico di ambientazione (fine 600) quanto in quello a cui sottilmente si allude (gli anni 50 di McCarthy), l’opera teatrale di Miller, da lui stesso sceneggiata (“Il crogiolo”) trova con la regia di Hytner una discreta trasposizione cinematografica. E poca importanza ha se l’oggetto di persecuzione siano streghe o comunisti: quello che subito spicca all’attenzione dell’osservatore è il parossismo del comun sentire, soggiogato da un fardello di pregiudizio sì granitico, ma non immune alla scivolosa strumentalizzazione del singolo. Il sistema giuridico alla base del celebre processo alle streghe di Salem (fulcro narrativo della storia messa in scena dal regista anch’esso di estrazione teatrale) pone in evidenza tutta l’incapacità dell’uomo di gestire coscientemente una legge morale a cui lui per primo non è in grado di adeguarsi. In un gioco di j’accuse liberatori che rasenta il ridicolo – ma ripeto: a quei tempi c’era poco da ridere – ogni pretesto diventa buono per danneggiare con la delazione il prossimo sia per questioni di interesse economico (un terreno), che sentimentale (il ‘possesso’ esclusivo dell’amore), fino alla bieca invidia per chi non ha mai abortito. L’apice del grottesco involontario viene raggiunto nelle improvvisazioni visionarie della protagonista Abigail [ottimamente interpretata da Winona Rider e coadiuvate da astute inquadrature metaforiche] al cui seguito si muove in perfetto sincrono fisico ed empatico un autentico coro greco di complici, immerse nella tragedia che generano con la propria menzogna, ma al contempo estrane alla responsabilità delle proprie azioni; riducendo la realtà a qualcosa di effimero e plasmabile con la semplice parola. Interessante in tal senso le considerazioni giuridiche, ma anche filosofiche del giudice Danfoth [Paul Scofield] sulla natura tecnica di quel tipo di processo: cinicamente viene fatto notare che il reato è invisibile e quindi non resta che affidarsi ai testimoni… Solo l’attimo eroico di rivendicazione dei propri principi morali a opera del martire John Proctor [un Daniel Day-Lewis che acquista intensità mano a mano che riesce a svincolarsi ed emanciparsi dalla recitazione un po’ troppo caratterizzata del cast maschile di contorno] riporta il male, il vero male dell’ignoranza fanatica sul piano veritiero dell’umanità più ottusa. Stupirà quindi il fatto che dopo continue minacce e possibilità di riscatto intrise di incoerenza e negoziate per tutto il processo – quasi a riprova della propria inconsistenza morale – la morte arrivi nel più brutale e meno cristiano dei modi: interrompendo bruscamente la preghiera di un sincero Pater Noster. 

L’adattamento va ad affiancarsi a quello del belga Raymond Rouleau (“Le vergini di Salem”, 1957), rimasto celebre anche per la penna che firmò la sceneggiatura (Sartre, tuttavia abbastanza fedele al testo originario) e per le vicende extra-cinematografiche (triangolo amoroso tra Miller, la moglie Monroe e il protagonista del film Yves Montand, al secolo il pistoiese Ivo Livi). 

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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