La grande scommessa

di Adam McKay (2015)

titolo originale: “The Big Short”
durata: 130’
produzione: USA
cast: Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling, Brad Pitt, Finn Wittrock, John Magaro, etc
sceneggiatura: Adam McKay, Charles Randolph
fotografia: Barry Ackroyd
musica: Nicholas Britell + band varie trash metal / metalcore (diegetica)

Film di amara riflessione attraverso una sorta di satira finanziaria che ripercorre le vicende della disastrosa crisi economica del 2007/2008 partita dagli Stati Uniti. Tutto ciò che può sembrare astruso a chi è digiuno di economia (ovvero la stragrande maggioranza del pubblico che ignorava l’esistenza dei “credit default swap” o “obbligazioni di debito collateralizzate” prima di vedere questo film) viene spiegato in media su tre livelli: tecnico-pertinente, colloquiale con venature di marketing e “for dummies”. In quest’ultimo caso con la simpatica idea di coinvolgere nella delucidazione testimonial importanti immersi nel proprio habitat abitudinario o di maggiore appeal mediatico: la seducente attrice-produttrice Margot Robbie che quasi citando “The Wolf of Wall Street” parla immersa in una vasca schiumosa mentre sorseggia champagne, il cuoco-personaggio televisivo Anthony Bourdain mentre cucina il pesce nel suo ristorante, lo studioso di economia comportamentale Richard Thaler mentre gioca a Black Jack al casinò e via dicendo.
Si percepisce fin dall’inizio il divario di una polarizzazione del capitale che tocca anche la sfera empatica (c’è chi sa e se la ride, chi fa finta di non sapere, chi non vuole neanche ascoltare, chi non crede alle proprie orecchie, etc) e neanche il finale catastrofico del crollo finanziario sembra riequilibrare il fato: da un lato chi ha speculato sull’ignoranza o fiducia indotta la passa liscia e in alcuni casi si appresta a fare di peggio, chi tra i protagonisti è riuscito ad arricchirsi trovando la falla nel sistema può solo provare un forte senso di colpa.
Regia ottima e montaggio di Hank Corwin (che resterà al fianco di McKay fino al recente “Don’t Look Up”) molto dinamico, coinvolgente, ma mai spasmodico.
Si elevano nell’affiatato e ben concertato ensemble attoriale Christian Bale, che ha un ruolo di raccordo nella storia, ma per quel che fa è come sempre molto convincente: qui nei panni del semi-autistico manager Michael Burry che ha intuito l’imminente crollo del mercato immobiliare, cammina scalzo e dorme in ufficio a fare conti e suona con le bacchette quel che trova ascoltando in cuffia Metallica, Pantera, Dakest Hour, Mastodon e compagnia bella. Jared Vennett [Ryan Gosling], sorta di narratore in itinere interpreta un cinico e venale dirigente della Deutsche Bank che cavalca l’intuizione di Burry per arricchirsi a sua volta. Molto convincente anche l’interpretazione del trader Mark Baum [Steve Carell, ‘fresco’ dell’ottimo “Foxcatcher” di Bennett Miller], depresso-agressivo, incline all’iracondia, ma sempre animata da un profondo senso etico dai tratti donchisciottiani.
Manca all’appello l’abitudinario collaboratore/amico Will Ferrell, probabilmente a causa di una comicità ormai troppo connotata dal proprio lungo sodalizio artistico.
Cammeo di Brad Pitt (tra i produttori, anche in ragione della tematica impegnata a cui da tempo dedica i propri fondi) nel ruolo di un malinconico ex trader che ha lasciato disgustato l’ambiente per dedicarsi a una vita sana e coscienziosa, aiuterà due intraprendenti investitori a diventare ricchi, ma non esiterà – alla didattica si aggiunge la morale – a spegnere il loro entusiasmo ricordandogli il costo umano di quell’arricchimento.
Rifacendosi a un saggio di economia – “Il grande scoperto” – scritto da Michael Lewis (che parla di quattro persone che avevano capito come il sistema economico americano sarebbe entrato in crisi), l’amarezza a fine visione si accentua ricordando che la sceneggiatura (premiata agli Oscar) è tratta da una storia vera e che quel che è accaduto può succedere di nuovo finché l’animo umano resterà lo stesso. Cioè sempre.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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