L’uomo dei cinque palloni

di Marco Ferreri (1965/1969)

Film – come di consueto per Ferreri – criticato e ostacolato sia per la caustica visione socio-politica che per l’insolita caratterizzazione del personaggio interpretato da Mastroianni, ritenuta dal produttore perfino dannosa.
Nei fatti una piccola gemma dell’autore che già racchiude in nuce tanti dei temi poi approfonditi nella filmografia successiva. In esame l’ottimo restauro del 2016 rapportato alla precedente versione menomata…

durata: 85’
produzione: Italia / Francia
cast: Marcello Mastroianni, Catherine Spaak, William Berger, Ugo Tognazzi, etc
sceneggiatura: Marco Ferreri, Rafael Azcona
fotografia: Aldo Tonti
musica:  Teo Usuelli, Gepy & Gepy, Orietta Berti

Tanta fu la preoccupazione di Ponti per questo ruolo di Mastroianni decisamente insolito e quindi commercialmente rischioso se non addirittura nocivo in termini d’immagine (!), che alla fine il film uscì in versione drammaticamente ridotta (un terzo del previsto girato) all’interno del film a episodi “Oggi, domani, dopodomani (scherzo in tre atti)” [pellicola collettiva che vedeva coinvolti anche De Filippo e Luciano Salce, con in comune l’attore frusinate]. Solo nel 1969 vede la luce la versione estesa con distribuzione limitata francese e il titolo “Break-up” e nel 1973 con tre nuove scene integrative, tra cui una a colori poi presentata alle “Giornate del Cinema Democratico” di Venezia. Ma arriviamo al restauro in 4K della versione finale, presentato alla Biennale del 2016.

Le differenze di questa director’s cut sono sostanziali, ma anche qualitative, in ragione delle ‘aggiunte’ da alcuni ritenute prolisse, eppur funzionali nell’approfondimento tematico e analitico. Il nuovo montaggio innanzitutto sostituisce l’originale musica più tradizionale con un minimale commento sonoro di batteria e ‘voce’ (in sostanza un reiterato e ritmico ’He!’), dal mood decisamente industrial e in perfetta sintonia (e sync) con il movimento incessante dei macchinari tedeschi per la produzione di caramelle. Contestualmente viene eliminata la scena in cui il protagonista Mario, avvolto nel rumore del traffico sottostante al suo attico, va a dormire di giorno indossando una mascherina.

Vengono reintrodotte molte parentesi di vita pre-coniugale con la fidanzata Giovanna [una dolcissima Catherine Spaak in moderata versione ‘sexy segretaria’] che mettono maggiormente in risalto – anche per contrasto di pazienza in odore di santità della materna Giovanna – con l’animo maschilista ed egocentrico e al contempo insicuro dell’abbiente industriale.

Imprenditore alle prese anche con l’effettivamente ingerente presenza di alcuni membri della famiglia del portiere che opera da conveniente surrogato di collaboratore domestico. Esilarante la scena delle mele, disposte psicoticamente in frigo e trovate morsicate e singolarmente girate dal dispettoso bambino.

A queste si aggiungono piccanti parentesi effusive con tanto di maionese, visite a vicini intellettuali donnaioli e dove non mancano topless [cammeo di William Berger, noto soprattutto per i ruoli di western all’italiana] e quant’altro potesse disturbare la morale del periodo.

Non ultimi i significativi, onirici 15 minuti a colori dell’intermezzo nella modernistica discoteca dove sono nuovamente i palloncini (questa volta gonfiati ad elio) e la disinibizione sessuale -e qui viene toccata un’altra ossessione di Mario- mal controllata dal gestore a farla da padrone sulle note della forsennata musica live dei sopraccitati Gep and Gep [così accreditati nei titoli, ma immagino si tratti di Gepy & Gepy dato che sembra di ricordare lo scomparso Giampiero Scalamogna sul palco] che esegue live anche il sopraccitato brano iniziale.

Mastroianni, sorta di filmico Atlantide nel tessuto narrativo offre una straordinaria nevrotica interpretazione (curata nei minimi dettagli: tic, tartagliamenti, etc) che evidenzia per pacati gradi la trasformazione della curiosità fanciullesca in ossessione materialistica, fino a un’infausta crisi filosofica ed esistenziale. Il nuovo titolo (“Break-up”) sembra giocare di rimando al boom economico con quasi onomatopeico riferimento a una possibile esplosione nell’ambito di un capitalistico eccesso produttivo; tra l’altro anticipato dal già ossessivo “348 pezzi…non 340!” nel magistrale incipit sperimentale che testimonia quanto l’autore avesse ben in mente il lavoro d’oltralpe di Chris Marker.

La continuità della forma mentis produttiva del protagonista, incapace di ‘staccare’ mentalmente dal lavoro, è sottolineata dalle cornamuse natalizie che dopo aver sorprendentemente intonato “Bandiera rossa” (quando esce di fabbrica, quasi a lasciarsi alle spalle uno sciopero di cui tutti parlano ma sembra non toccarlo) virano verso un più borghese “Tu scendi dalle stelle” quando si appresta a un giro per shopping prima di rincasare.

Lo stesso palloncino, semplice, insignificante oggetto caricabile di valenze e potenziale commerciale (come accennato dal suo impiegato addetto al marketing) diventa straordinario strumento di canzonatura satirica: gonfiamento e sgonfiamento sotto la maglia della Spaak e la fertilità a catena del periodo fascista, quello palesemente fallico in altri casi fino al più bieco celodurismo che fa da pendant al parossismo del gigantismo produttivo.

E la sua valenza erotica è comunque sottolineata sia dal titolo scelto per la distribuzione francese (“Break up, erotisme et ballons rouges)” che da momenti in cui la sua intromissione nella vita sentimentale, ma nei fatti una sporadica giornata libera per la coppia, logora ogni forma di romanticismo.

L’oggetto monopolizza l’attenzione di Mario a scapito della compagna che fa di tutto per riconquistarla; perfino giocare rischiosamente con l’infatuazione della giovane figlia del portiere per il padrone di casa.

Uno tra tanti tentativi falliti che la costringeranno infine a un cruciale gesto (bucarglielo) che destabilizzerà definitivamente il protagonista.

In questo che da molti è reputato un film minore, anche in ragione delle magagne produttive e distributive, il regista in realtà mette abilmente in luce e sintetizza quanto successivamente approfondito in pellicole dedicate : l’industriale ossessivamente metodico di “Dillinger è morto”, l’isolazionismo sentimentale e feticistico di “I love you” (pellicola decisamente correlata alla precedente), l’approccio gastronomico al corpo femminile de “La carne” o sottomissivo alla luce di una nuova realtà coesistenziale de “La cagna”; fino all’eccesso alimentare de “La grande abbuffata” qui controllato in una divertente grattugiamento con quantificazione economica di un costoso tartufo bianco (“tartufo: 9000 lire. (…) 500 lire, 1000 lire, 1500 lire…4000 lire: mi fermo per il mal di fegato”).

In merito all’ultima cena, a memoria è stata tolta la scena, forse in origine promozionale, del precedente acquisto del tartufo (in cui veniva declamata qualità, rarità, etc) così come quella dello sputo del tappo verso il pallone (successiva allo stappamento del costoso Moët & Chandon e quindi suscettibile di rischioso fraintendimento).

Cammeo dello stesso regista tra i clienti della fornitissima rosticceria dove vengono acquistate le pietanze della ricca cena da asporto.

A chiosa di un ormai “inevitabile” suicidio a seguito dell’esplosione dell’ultima “Piccola nuvola poetica” (così chiamato il palloncino da una massaggiatrice Shiatsu durante uno dei deliranti ‘sondaggi’ del protagonista, stavolta presso un centro benessere frequentato da colleghi), Ferreri ci presenta le reazioni ciniche del proprietario dell’auto rovinata dalla caduta del corpo di Mario [cammeo di Ugo Tognazzi] e quelle dell’antiquario sotto casa del protagonista che richiama i testimoni della morte all’asta in corsa, sfruttando mendacemente l’accaduto per vendere una scultura che in realtà il protagonista non aveva mai voluto comprare. E ovviamente l’immancabile comparsa animale di ogni sua pellicola: qui il vecchio e scorbutico cane Furio che subito dopo la tragedia, fattosi una ragione della dipartita del padrone, si accomoda alla tavola opulentemente imbandita per sottrarne un gustoso pezzo di carne. La vita va avanti lasciandosi alle spalle le distrazioni della follia consumistica.

La versione cortometraggio del film è uscita in Italia (come parte del succitato film collettivo) nel 2003 per la Surf Video e distribuito dalla DNC in DVD, edizione ormai fuori catalogo. E’ stata poi ristampata (stavolta con distribuzione Mustang) nel 2008.
Come accennato l’edizione integrale da me visionata è quella integrale restaurata. Nello specifico realizzata dal laboratorio L’Immagine Ritrovata partendo da una scansione 4K (laboratorio MPI di Los Angeles) di un interpositivo del periodo e un positivo suono, entrambi custoditi presso la Warner Bros. Fondamentale per il risultato finale la reference in 35mm (copia del negativo originale, conservato sempre a Los Angeles, ma dalla Turner) fornita dalla CSC-Cineteca Nazionale.
A oggi purtroppo questo film rientra tra quelli vergognosamente assenti nel mercato home video.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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