Il venditore di medicine

di Antonio Morabito (2013)

durata: 105’
produzione: Italia / Svizzera
cast: Claudio Santamaria, Isabella Ferrari, Evita Ciri, Roberto De Francesco, etc.
sceneggiatura: Antonio Morabito, Michele Pellegrini, Amedeo Pagani
fotografia: Duccio Cimatti
musica: Andrea Guerra

Forse più incisivo come involontario documentario (anche se come tale sarebbe stato politicamente di rischiosa gestazione) che come opera di finzione cinematografica, il secondo lungometraggio di Morabito merita visione e supporto per quello che racchiude: un quadro scomodamente dettagliato degli illeciti nel mercato farmaceutico italiano e relative collusioni con la malasanità. Fatta eccezione per l’ottima prova attoriale di Santamaria, se da un lato l’approfondimento dei personaggi non scava mai troppo a fondo, per altri versi <ATTENZIONE SPOILER> si spinge la vanga su determinate figure professionali, paradigmizzate al limite del manicheo. E’ il caso del dottorino moralmente irreprensibile o il capo area [interpretato da una spietata Ferrari] in odore di “Glengarry Glen Ross”; così come il dipendente silurato che reagisce con il classico gesto estremo o perfino il malato terminale / cavia volontaria al contempo martire del sistema sanitario e di quello economico. Tra ciniche barzellette ripetute a mo’ di auto-assoluzione (cfr.malessere in spiaggia), aneddoti maieutici (la doppia impossiibilità), leit motiv demoralizzanti (“sei stanco/a”?) e ricattatoriamente istigatori al comparaggio (reato magnificamente declinato), spostamenti in ambienti fortemente chiaroscurati che sembrano metaforizzare il dubbio ed esitazioni di camera nel riprendere gli attimi più drammatici (rispettoso all’inizio / stilema nel suo reiterarsi) il racconto prosegue in un clima di incessante ansia, sottolineato dalla musica di Guerra / da guerra e intrisa di tragica epicità fino a un finale che risulta aperto. Forse alla redenzione, per quanto non tutto il salvabile – famiglia sacrificata in nome della sopravvivenza in primis – potrà esser tale. La scelta ironica di un cammeo di Marco Travaglio nei panni di un primario corrotto pone le sue due scene a rischio distrattivo, ma Santamaria è abile nel mantenere il registro comunicativo su un tono di amara disperazione.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2025.


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