Il filo nascosto

di Paul Thomas Anderson (2017)

L’apertura di un testamento non è mai un evento privo di amarezza. e quando dalla sfera economica ci si sposta a quella artistica, con tutti i dubbi del caso che riguardano la sua opportunità in una condiziona anagrafica ancora foriera di ricche e mature possibilità espressive c’è ancor meno di che gioire. Non resta che affrontare con questo spirito quella che nei fatti è STATO – dopo una vana attesa – il lavoro definitivo di Daniel Day Lewis.

titolo originale: “Phantom Thread”
durata: 130’
produzione: USA / Regno Unito
cast: Daniel Day-Lewis, Vicky Krieps, Lesley Manville, Gina McKee, Brian Gleeson
sceneggiatura: Paul Thomas Anderson
fotografia: collettiva (attribuita ad Anderson)
musica: Jonny Greenwood

Che il suddetto sia uno straordinario attore credo possa esser considerata – come in neanche tanti frequenti casi – un’opinione unanime. La sua maniacalità, lo sforzo fisico e l’impegno temporale profusi nello studio dei propri personaggi ogni volta è probabile che alla lunga l’abbiano logorato, certo, ma questo film parrebbe ufficialmente sancire la sua decisione di interrompere la recitazione cinematografica a 60 anni (in teatro a meno della metà). Non ci rimane quindi che prenderne atto e assaporarne le sfaccettature.
La caratterizzazione che dona al suo personaggio (Reynolds Woodcock) è come sempre godibilmente accurata e coinvolgente: maniacale come lui, ma anche ciclotimico, abitudinario ai limiti dell’autismo, lievemente bipolare.

Esprime necessità austera di silenzio, di alimentazione sana e leggera (assolutamente niente burro) quando crea, ma rasenta la bulimia (in quel caso burro in abbondanza, ovviamente) quando è in ‘ferie’, quasi assalito da un’appetito atavico che sembra rispecchiare una fame di nuove emozioni e quindi stimoli.

Chiuso un ciclo creativo si torna alla fase iniziale. Il tutto scandito da un ossessivo ritmo lavorativo in odore di missionarietà. E l’elemento spirituale si riscontra anche nella sua concezione sacrale delle proprie opere (es. episodio del vestito tolto all’ “indegna” cliente ubriaca) in un universo autoreferenziale e anti-progressista (es. la sua idiosincrasia verso lo “chic”).

L’unico elemento di contatto con la normalità potrebbe essere l’esistenza simbiotica al fianco della sorella Cyril [Lesley Manville], con la quale però porta avanti un legame ambiguo (surrogato di una madre? / la chiama “mia vecchia tale e quale” o …amante platonica?).

Sorella che da un lato sembra sinceramente preoccuparsi per le sue frequentazioni sentimentali e lo stress che un relazionarsi insoddisfacente può generare, ma dall’altro alla prima occasione non esita a suggerirgli di troncarle, senza però chiarirci se sia la mania di controllo o la salvaguardia degli interessi aziendali la priorità. Solo verso la fine cala il velo dell’ipocrisia, allorché lei chiede al fratello se debba allontanare Alma in quanto trascurata e dato che tiene a lei… La reazione sarcastica di Reynolds viene ripagata con un draconiano e vigoroso (parafrasando): “non provarci neanche ad addossarmi la colpa delle tue scelte, perché soccomberesti in quanto io colpisco diretta al cuore!”. Reynolds incassa “…e lo spettatore muto”…

Azienda che riporta gli psicologicamente rassicuranti connotati della casa. “Maison”, casa di moda, quindi, ma verrebbe da ironizzare anche con un “casa circondariale”, tanto l’ambiente domestico è costrittivo, claustrofobico (come altre locations scelte, d’altronde) e imprigiona i protagonisti in un mondo dove le abitudini sono leggi e qualsiasi infrazione è punita con l’esilio…almeno fino all’arrivo della protagonista principale…

La componente feticistica e intrisa di superstizione e intenzionalità subliminale (es. capelli della madre cuciti addosso nella giacca o i messaggi nascosti ricamati negli orli degli abiti) rafforzano la morbosità di questa percezione.

Ma tolto questo, Reynolds è un demiurgo all’interno del suo microcosmo, che teme possa sfaldarsi a ogni tentativo di novità. Tra queste, l’improvvisa attrazione per una cameriera [la suddetta Alma Elson, interpretata dalla tutt’altro che provocante e quindi perfetta per il ruolo che si definirà successivamente, Vicky Krieps], scaturita dall’esaudimento di necessità estetiche ben radicate in termini anatomici, completi di misure sartoriali.

Prelevata come argilla da un punto più basso del promontorio sociale di appartenenza, esattamente come argilla la plasma, facendone una sua stessa creazione. Emblematica in tal senso l’affermazione sulla quasi assenza di seno di lei (sempre parafrasando: “non importa…spetta a me se crearlo…se mi va”).

Soggiogata dall’irremovibilità e apparente forza caratteriale di lui, Alma vede il legame maturare nuove sfaccettature in una crescente complicità; tanto da divenire musa e consigliera. Il legame infine si sublima nel climax masochistico dell’avvelenamento da funghi, che altro non è probabilmente che la ricreazione di una dinamica di cure materne di cui Reynolds – in evidente deficit di accudimento – avverte un’inconfessata necessità subconscia.

In questa nuova dualità di alternanza di ruoli tra vittima e carnefice (alternanza che rispecchia anche la fase creativa di Reynolds), la figura della sorella trova quindi una necessaria sostituzione, meno platonica / più fisica e quindi socialmente più accettabile e pragmaticamente più perseguibile. Dopo una maggiore fiducia riposta in lei inizialmente, una volta tradita Cyril non può che accettarne il nuovo potere matriarcale impugnato dalla nuova direttrice di vita del fratello. La vita di Reynolds ora appartiene a quest’ultima, che sembra con finale consapevolezza di lui davvero cucita sui suoi più reconditi desideri e legatagli da un filo sottile che di tanto in tanto rivela la sua presenza all’ondeggiante riflesso della loro fiamma.

Alma infine impersona il legame salutare con la realtà: come il cibo sano iniziale, lei – paradossalmente – ‘gli fa bene’ e con i suoi avvelenamenti costringe Reynolds a prendersi una pausa snervante dall’irrefrenabile ossessione lavorativa. Certo, un gioco pericoloso, ma che vince – complice anche un’umana assuefazione al veleno – sulla lunga distanza; al punto da renderla indispensabile per lui e che ricorda un po’ l’estremismo edonistico de “L’Impero dei Sensi” di Oshima.

Allo spettatore non viene suggerita quindi nessuna soluzione dicotomica: la fine della tensione relazionale tra i due – quasi in ottica taoistica – potrebbe costituire la stasi e quindi la morte.
Sul piano tecnico, unico neo forse la fotografia, non sempre eccelsa e troppo uniforme (anche qualitativamente): risultato probabilmente imputabile alla non disponibilità dei collaboratori abituali e quindi frutto di un “sforzo collettivo” della troupe, anche se poi è stata accreditata al regista.

Viceversa la sceneggiatura (come di consueto) è solida e capace di alimentare dubbi (e speranze) sulla solidità del legame dei due fino agli ultimi minuti; per quanto in qualche modo l’ostinazione di Alma – memoria e intuizione cinematografica a parte – fa intendere che abbia più carte di quelle che la sua condizione sociale o posizione di ‘ennesima’ potrebbero lasciar ad intendere.

Un ultimo ruolo importante lo riveste il sonoro: dalle partiture onnipresenti e sontuosamente orchestrate dalla London Contemporary Orchestra (pertinenti con il prestigio dell’attività svolta nel mondo londinese della moda degli anni 50) fino all’apparentemente più basso, ma in realtà basilare ruolo del rumori: quello di un the versato, ma soprattutto di una posata, volutamente enfatizzato al limite del fastidio, che sostituisce la parola che non si può pronunciare o quella che si desidera dal proprio amato: un clangore che si fa casus belli in alcuni casi, sabotaggio o protesta assertiva in altri.

Il film è disponibile sia in BD che DVD, prodotti dalla Universal e distribuiti dalla Warner Bros nel 2018. Esiste anche una Collector’s Edition tailandese (CX Media, 2020) in slipcase totale con logo a rilievo, booklet e 6 cartoline bifacciali raffiguranti alcuni modelli d’abito presenti nel film racchiuse in un’elegante busta personalizzata.
Blu ray da me visionato: classico amaray blu, con copertina a stampa monofacciale.
Codice EAN: 5053083155223.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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