Il Diavolo in blu

di Carl Franklin (1995)

titolo originale: “Devil in a Blue Dress”
durata: 102’
produzione: USA
cast: Denzel Washington, Tom Sizemore, Jennifer Beals, Don Cheadle, Mel Winkler, etc
sceneggiatura: Carl Franklin
fotografia: Tak Fujimoto
musica: Elmer Bernstein

Forse il film più noto del regista e prima collaborazione con Denzel Washington (che ritroveremo nel futuro “Out of time” – ARTICOLO QUI) ha il merito di fondere un genere storico su cui è stato detto tutto in termini di grammatica cinematografica con un protagonismo di colore; oltretutto delineando la figura di un detective non di professione, ma per necessità. La variazione sul tema, altrimenti fedele ai canoni consolidati del filone (dall’io narrante alla trama cervellotica) se da un lato trova un valido sostegno nell’ottima interpretazione del protagonista Easy [Washington], paradossalmente è proprio nella figura della femme fatale, paradigma del genere, che annaspa. Il personaggio di Jennifer Beals, ovvero colei che per preferenze cromatiche veste sempre in blu è infatti poco più di un nodo nel non del tutto lapalissiano costrutto narrativo, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore di gialli afroamericano Walter Mosley. La Daphne Monet del film è poco seducente (l’unica nota sessuale e che non le appartiene è confinata nella quasi demenziale “centratura” di tutta la notte iniziale), ancor meno letale, vagamente misteriosa. Perfettamente in parte invece Tom Sizemore (nei panni di un losco individuo “che fa favori agli amici”, di fatto un gangster) così come Don Cheadle (vecchio amico di Easy, dal grilletto facile). Il resto del cast è poco più che dimenticabile. La regia -accompagnata da musica che ricalca quella del genere, coadiuvata da una buona fotografia [Fujimoto, DOP abituale di Jonathan Demme] che rende giustizia all’ottima ricostruzione della Los Angeles di fine anni ’40 – come in quasi tutta la filmografia del regista non spicca mai il volo, offrendo una messa in scena incapace di fornire mirabili twist o balzi emozionali e quel che resta alla fine è un buon film che avrebbe potuto, ma non ha fatto; rischiando l’anonimato. Peccato.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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