I ragazzi stanno bene

di Lisa Cholodenko (2010)

Commedia brillante dai toni agrodolci, questo lavoro della regista Lisa Cholodenko è tanto delizioso nella raffigurazione di una famiglia apparentemente non convenzionale, quanto drammaticamente compassionevole nei confronti di una virilità insidiosa e destabilizzante, ma destinata a soccombere.

titolo originale: “The Kids Are All Right”
durata: 104’/106’
produzione: USA
cast: Annette Bening, Julianne Moore, Mark Ruffalo, Mia Wasikowska, Josh Hutcherson, Yaya DaCosta, Eddie Hassell
sceneggiatura: Lisa Cholodenko, Stuart Blumberg
fotografia: Igor Jadue-Lillo
musica: Carter Burwell, Nathan Larson e Craig Wedren

Premesso che chi perde alla fine lascia l’idea di un buon diavolo, ben altro il ruolo e messaggio narrativo veicolato da Paul [Mark Ruffalo]. Partiamo dall’evidenza…
E’ un donnaiolo, certo, ma pronto ed entusiasta di assumersi a posteriori le sue “responsabilità” di padre, dopo quasi 20 anni dalla sua donazione di seme che gli fruttò solo $ 60, ma soprattutto la gratificazione di aver potuto aiutare chi aveva bisogno.

E’ disposto a rinunciare al piacere della carne, sempre ’fresca’ e disponibile come la verdura a KM 0 che produce per il suo ristorante – nel momento in cui sente di essersi davvero innamorato e voler costruire una famiglia con la stessa donna oggetto della suddetta donazione, Jules [una come sempre mai deludente Julianne Moore]. Interrompe quindi la relazione occasionale con la dipendente/socia Tanya [la stupenda Yaya DaCosta]
E’ pronto a fare ammenda per aver quasi distrutto una famiglia “non convenzionale” (cit.), minando la solidità di una coppia forse problematica, ma fondamentalmente affiatata e meritevole di rispetto …assumendosi anche la colpa dell’altra parte, che nelle sue attestazioni di merito ha trovato solo un surrogato di ciò che avrebbe voluto dalla sua autoritaria, ma ufficiale compagna da oltre 10 anni.

E anche l’altro maschio della famiglia, il quindicenne Laser [Josh Hutcherson] non è che ne esca più gloriosamente: sportivo, ma non brillante a scuola; un po’ apatico, passivo.
E lo è al punto da frequentare e ammirare Clay [Eddie Hassell], terzo personaggio maschile: un perfetto imbecille in stile ‘Beavis and Butt-head’ che però con la sua intraprendenza, esagerata e insensata, sembra aver compensato la mancanza di una vera figura virile a casa. Ovvero qualcuno che avrebbe dovuto esser capace di introdurlo attraverso giochi non stupidi e consigli non inutili verso il cammino della maturità. Tuttavia, all’ennesima stupidaggine di Clay (voler urinare su un cane randagio e dare un pugno a Laser per averglielo impedito) l’amicizia-surrogato si interrompe; anche grazie all’influenza positiva di Paul, padre naturale cercato ed entrato nella sua vita.
Apro una parentesi: ironia della sorte ha voluto che Hassell le stupidaggini le facesse anche fuori dal set e un paio di anni fa è morto durante una sparatoria probabilmente dovuta a un furto d’auto…

Constatando la qualità diametralmente opposta dei personaggi femminili delineati, pur con le proprie debolezze, quello che si potrebbe temere in tale prospettiva è un substrato “politico” nella scrittura che non credo sia necessario declinare onde evitare di dar adito a fraintendimenti, ma certo è che propone una figura maschile – con le sue balbuzie dialogiche, l’espressività inebetita e i ritardi verbali al limite del neurologico – tutt’altro che edificante.
Tuttavia, pur restando questa l’unica nota di disquilibrio del film (che sarebbe stata facilmente evitabile esasperando meno la connotazione neandertaliana maschile e invertendo il sesso dei figli o almeno il QI…), l’impressione iniziale viene sconquassata attraverso un esame più approfondito dei personaggi, definiti con accuratezza e simmetria e calati in un contesto socio-culturale dove l’omosessualità non è più qualcosa da imporre trasgressivamente o per il quale lottare contro l’ottusità popolare, ma come è giusto che sia una delle tante sfaccettature della cosiddetta ‘normalità’. Al punto da raccontare in nuce la temporanea crisi coniugale di un matrimonio che segue le stesse frequenti dinamiche narrative di tanti altri vicende/film ‘etero’, ma dal punto di vista di un nucleo familiare non tradizionale.
Ecco allora che abbiamo la figura di Nic [una straordinaria Annette Bening], insolito caso di donna, professionista realizzata e dotata di tutta l’apertura mentale che la sua scelta omosessuale culminata in un’unione civile ha palesato, ma che con modi virili quasi conservatori pone paletti nella vita dei propri figli (compreso impedirgli di andare in moto) e sembra voler relegare nella condizione di casalinga la sua compagna Jules (seppur con pesata strategia psicologica e occasionali coccole post-pentimento), frustrandone qualsiasi aspirazione di crescita economica ed emancipativa.

In essa si può ravvisare la fragilità di qualcuno che desidera fortemente l’unità di una famiglia, vive lo stress della sua professione e della paura di sfaldamento della suddetta, spesso eccedendo nel conforto del vino. Una donna a prima vista più forte della sua confusa compagna e capace tanto di gestire maturamente la situazione del tradimento quanto il suo perdono. In tal senso Jules (controparte istintiva della pragmatica moglie) rappresenta il classico esempio di persona non adeguatamente valorizzata che diventa preda della passione sfrenata se ricamata d’attenzione, al punto da mettere in dubbio assiomi indiscutibili come il suo stesso orientamento sessuale.
Sullo sfondo di questa breve tormenta e finale riconciliazione naviga la da poco maggiorenne Joni [Mia Wasikowska, ai tempi del film una talentuosa attrice dai tratti trecenteschi poco più che ventenne], che a differenza del fratello (ridaje…), non ha un nome che sembra una punizione (il suo le è piuttosto stato dato in onore dell’omonima cantautrice canadese) ed è una ragazza ponderata, studente modello, che affronta egregiamente la situazione complicata parallelamente a un difficile momento di transizione generazionale (l’indipendenza della maggiore età), sentimentale (il coraggio di dichiararsi, seppur per un breve momento, all’amico sempre amato) e logistico (lo spostamento in altro luogo per iniziare in solitudine il periodo del college). Potremmo aggiungere “tutta sua madre Nic” così come Laser ricorda l’irrazionalità di Jules.

A voler eccedere in analisi speculativa, i due nomi rappresentano anche due approcci tecnologici alla fruizione musicale e per metonimia alla vita: la Mitchell che fa parte dell’epoca d’oro del vinile e perfetta quindi per i gusti più conservatori di Nic che l’ha concepita (ricordo che ciascuna ha usato il seme di Paul per partorire un figlio diverso) e l’epoca successiva del cd, impersonificata da Laser, come l’omonimo diodo usato per la lettura di questo formato, ideale per rappresentare il più moderno temperamento della madre Jules. E la simmetria si chiude.
“(…)The kids are alright. Sometimes, I feel I gotta get away. Bells chime, I know I gotta get away and I know if I don’t, I’ll go out of my mind…”: come nell’omonima canzone degli Who tutto sommato alla fine i ragazzi staranno bene (forse…), anche se qualcuno deve scappare per non impazzire.

Le gag (come il licenziamento del giardiniere messicano ficcanaso o le situazioni imbarazzanti che ruotano attorno alla videocassetta porno per soli uomini) impreziosiscono il girato e fanno di questo film un piccolo gioiellino che perde mordente solo per 15 minuti verso la fine, per ricomporsi poi magistralmente nell’abbraccio in lacrime a Joni di due donne: entrambe madri che nell’avvolgente circolarità e intimità di questo gesto sembrano voler sia timidamente nascondere all’occhio del pubblico la tradizionalmente connotata fragilità emotiva della ‘moglie’ quanto rafforzare la scarsa importanza delle gerarchie genitoriali all’interno di una famiglia basata su sentimenti inossidabili e non convenzioni sociali.

Il film è uscito in Italia nel 2011 per la Lucky Red distribuito dalla Koch Media sia in DVD che BD.
Blu ray da me visionato: classico amaray blu, con copertina a stampa monofacciale. E’ un’edizione per noleggio drammaticamente identica a quella ufficiale (e infatti ci sono cascato…), fatta eccezione per una microscopica specifica accanto al codice EAN (il mio 8022469071140, quello della versione standard 5051891080591). Attenzione: nessun altro riferimento in copertina o sulla stampa offset del BD.
La versione in DVD presenta invece una stampa della cover bifacciale.
In generale la versione home video è di ca 2-3 minuti più lunga rispetto a quella cinematografica. Presumo reintroduca le vistose (ma pur sempre strategicamente inquadrate) scene di sesso tra i protagonisti.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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