durata: 132’
produzione: USA
cast: Kyle Chandler, Vera Farmiga, Ken Watanabe, Walter Charles Dance, Millie Bobby Brown, etc
sceneggiatura: Max Borenstein, Michael Dougherty, Zach Shields
fotografia: Lawrence Sher
musica: Bear McCreary
E’ affidato al regista del poco convincente “Krampus” il sequel dedicato a Godzilla (ARTICOLO QUI) nell’ambito del franchising “MonsterVerse”.
Se da un lato non si percepiscono prevedibili constatazioni di “minestra riscaldata” tipica di molte pellicole che riportano la pericolosa dicitura “2”, il film si sviluppa essenzialmente su due fronti. Il primo e solitamente quello mediaticamente supportato è quello visivo: magistralmente apocalittico, totalmente capace da un lato di annientare qualsiasi speranza di rivalsa umana sulla supremazia titanica dei kaijū e dall’altro creare uno “stupor monstri”, nella piena accezione latina medioevale dedicata al prodigioso segno divino; tanto che si finisce per empatizzare totalmente con Godzilla, sorta di severo padre putativo protettore del nostro marcio destino.
Il secondo è quello narrativo: e qui la sceneggiatura (che ironicamente ha impegnato tre persone) fa acqua da tutte le parti. Visto le locations avrebbe anche senso…nessuno che si aspetti chissà quale capolavoro drammaturgico, ma la successione degli eventi, la logica comportamentale, perfino i dialoghi (peraltro talvolta forvianti nella resa logica delle tipiche doppie negazioni anglofone) inducono lo spettatore dopo un po’ quasi a ignorare questa componente per restare rapiti dalla sontuosità distruttiva. Arma a doppio taglio che ovviamente esercita il suo potenziale fintanto che l’azione visiva non ha naturali e necessarie curve di riposo che portano a momentanei attimo di smarrimento. Fossimo ancora negli anni 60, immersi in quell’ingenuità fruitiva nei confronti di questo genere di pellicole (tra l’altro torna in scena Ghidorah di Honda, a sua volta ispirato all’eraclea Idra nella seconda fatica di Eracle) avremmo anche potuto soprassedere. Oggi cinismo e saturazione produttiva ci spingono a chiedere di più e i limiti della scrittura emergono da qualsiasi benevolente approccio entusiastico. Tolto questo, se il desiderio supera la consapevolezza, la pellicola – coadiuvata tra l’altro dall’accorta fotografia di Lawrence Sher (da lì a poco candidato all’Oscar per il “Joker” di Phillips) che sviluppa e rende ancor più modern vintage l’intuizione precedentemente messa in atto – è godibile e galvanizzante fino all’ultimo minuto.
A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.
© Articolo di Luigi Maria Mennella. Deposito n° 185856 presso il Patamu Registry. Tutti i diritti riservati.
© Immagini (utilizzate ai soli fini di divulgazione culturale senza scopo di lucro) dei rispettivi autori, ai sensi dell’art.70 comma 1 bis, art. 70 cit.
Se hai apprezzato questo articolo, sostienimi. Grazie.