Freaks out

di Gabriele Mainetti (2021)

Autore a tutto tondo ormai capace sia di distillare (anche con parsimoniosa produzione) tecnica nella verosimiglianza e coniugare spirito e capacità hollywoodiane con VERVE romanescA, Gabriele Mainetti dopo 6 anni dall’interessantissimo “Lo chiamavano Jeeg Robot” ci consegna una nuova opera che amplia a dismisura lo spettro d’azione visivo ed emotivo DELLA SUA SCRITTURA CINEMATOGRAFICA.

durata: 141
produzione: Italia / Belgio
cast: Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Giorgio Tirabassi, Franz Rogowski, Max Mazzotta, etc
sceneggiatura: Gabriele Mainetti, Nicola Guaglianone
fotografia: Michele D’Attanasio
musica: Gabriele Mainetti, Michele Braga

Il risultato finale è spettacolare e con lo spettacolo inizia: pura magia d’intrattenimento circense, apparentemente e volutamente stucchevole, ma finalizzata al contrasto del repentino (devo dire genialmente montato) cambio di registro che proietta lo spettatore verso le atmosfere più truculente della guerra.

Tra parentesi, ottima la fotografia (di nuovo affidata a D’Attanasio). In entrambi i casi una certa influenza spielberghiana si avverte, ma filtrata attraverso una forte personalità capace tanto di caratterizzare in modo più cinico e contemporaneo la quasi innocente tipologia ‘freak’ tramandataci da Browning o Lynch quanto di rivisitare con autentica genuinità inventiva il contesto storico della Seconda Guerra Mondiale, soffermandosi su prospettive alternative – di fantasia, ma anche probabili – dove alla fine cinema fantastico e bellico riescono a convivere osmoticamente.

I “diversi” sono creature che vivono la loro condizione con frustrazione e al contempo consapevolezza dell’importanza di restare uniti in questa sorta di moderna Armata Brancaleone. L’ipertricotico, forzuto Fulvio [torna Gabriele Santamaria nel cast] compensa la sua esteriorità bestiale fonte d’emarginazione con l’acculturamento. Mario [Giancarlo Martini], capace di controllare oggetti metallici attraverso il magnetismo è affetto da parziale ritardo mentale e nanismo (priapicamente compensato) che nell’onanismo trova pace. Cencio [figlio d’arte Pietro Castellitto] albino e capace di controllare (ma anche materializzare) insetti ci prova costantemente con l’ultimo freak della lista, Matilde [la giovane ma da anni sul set Aurora Giovinazzo] che è costretta a portare guanti per non fulminare le persone.

E sarà Matilde – nel suo percorso di crescita – a fungere da filo conduttore di tutte le vicende, giungendo a un finale pirotecnico (magistralmente reso come in generale gli effetti speciali) che sulla scia del “Carrie” di De Palma (ma sono tante le citazioni cineastiche) porta la ragazzina a canalizzare il suo dolore attraverso lo sfogo di tutto il suo devastante potere.

Collante affettivo dei nostri, Israel [Giorgio Tirabassi], precedente proprietario del loro circo ambulante “Mezza Piotta” che vive in prima persona il dramma della propria condizione di ebreo in quel periodo storico.

Il ruolo del coriaceo villain è rivestito da Franz [l’attore tedesco Franz Rogowski che qualcuno ricorderà per la sua partecipazione allo straordinario “Victoria” di Schipper o in “Happy End” di Haneke], altro freak  che a causa della sua condizione ‘anormale’ non ha potuto servire il Reich come il fratello e fino all’epilogo cercherà con mulaggine di costituire una sorta di supergruppo (insieme a quelli che definisce i “Fantastici Quattro”) al servizio del Fuhrer.

Dotato di dodici dita intrattiene provettamente il pubblico nel suo personale circo allestito dall’Occupazione Nazista – il grottesco Berlin Zircus che porta alla mente nei suoi balletti l’immaginario del primo Brass – dove nel backstage ‘mengelamente’ seleziona i freak migliori e soffre tutta l’incomprensione dell’altro suo dono: la chiaroveggenza.

Memorabile in tal senso il sogno – introdotto dalla storica suoneria Nokia – in cui attraverso un moderno smartphone visualizza tutti gli orrori del futuro. E sicuramente lo spettatore farà fatica a togliersi dalla mente la scena della tortura di Mario che gira nudo su una ruota con il pene che asseconda la forza di gravità. Questo, così come il tanto agognato accoppiamento per Fulvio (che finalmente trova una donna come lui) sanciscono il definitivo ammodernamento veristico della figura del freak a cui inizialmente accennavo. 

Il Mainetti musicista (nuovamente autore dell’ottima colonna sonora insieme a Michele Braga) emerge in un’ulteriore geniale trovata: la chiaroveggenza porta Franz ad arrangiare pubblicamente ‘sue’ composizioni che altro non sono che cover dei Radiohead (“Creep”) o Guns N’ Roses! (“Sweet Child o’mine”). Che Israel si diletti poi in attività da tecnico foley o a suonare un theremin è la naturale conseguenza della sua sensibilità musicale.

TIra le redini della Resistenza – qui quasi simbolicamente rappresentata da un manipolo di uomini menomati con una media di due arti intatti cadauno – “Il Gobbo”, ovvero quel Max Mazzotta reso celebre dal film ispirato ai disegni di Pazienza (“Paz!” di De Maria, 2002), ma ancor prima esploso nel gioiellino grottesco diretto da figlio di Risi (Marco) ovvero “L’ultimo capodanno” (1998): caratterista surreale, abilmente esilarante anche nella tragedia. Sulle note del suo “Bella ciao” torna tutta l’ostinazione antifascista del Fiabeschi alle sessioni d’esame al DAMS.

Cambio di rotta stilistica ed estetica per il regista, che probabilmente farà storcere il naso a chi ha apprezzato l’urbanità decadente del primo film; e ahimé gli incassi non hanno gratificato gli sforzi produttivi. Ma sicuramente opera matura, egregiamente realizzata (con un professionismo che risulta assolutamente spontaneo) e di apertura verso altri lidi (non escludo anche geografici) con un target fruitivo perfetto per chi ama la poetica visionaria di Del Toro, ma con un tocco decisamente meno casto oltre che innegabilmente personale.

Visto su Prime Video (LINK al film), ma da febbraio il film è disponibile nel mercato home video sia in BD (versione limitata blu ray 4K Ultra-HD pressoché esaurita) che DVD.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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