Festa per il compleanno del caro amico Harold

di William Friedkin (1970)

titolo originale: “The boys in the band”
durata: 118’
produzione: USA
cast: Kenneth Nelson, Peter White, Leonard Frey, Cliff Gorman, Frederick Combs, Laurence Luckinbill, Keith Prentice, Robert La Tourneaux, etc.
sceneggiatura: Mart Crowley
fotografia: Arthur J. Ornitz
musica: brani vari di Harpers Bizarre, Marvin Gaye & Tammi Terell, Wilson Pickett, Martha and the Vandellas e Burt Bacharach

Medesimo cast dell’omonima pièce teatrale riunito davanti all’obiettivo di Friedkin nella cui trasposizione preserva la forza drammaturgica senza privarci del suo estro registico. Il tema allora ancora scottante dell’omosessualità, che fa da paravento (in carta di riso) all’analisi della sostanziale solitudine dei protagonisti, lascia trasparire attraverso la macchina dell’autore, generosa in dettagli caratteriali ed emozionali un palcoscenico di autoriflessioni; più o meno indotte. Ed è sviscerando l’umanità dei personaggi, satura di cliché rappresentativi a metà tra folklore e caricaturalità che emerge uno struggente mondo interiore. Una caricaturalità non necessaria considerando che mezzo cast (che ci ha lasciato prematuramente a causa dell’AIDS) era realmente gay; per quanto assolva egregiamente a tutti i filtri rappresentativi imposti dal proprio ruolo attoriale. Un luogo interiore, dicevamo, dove non bastano eccentricità quasi grottesca [meravigliosa la performance di Gorman], rottura degli schemi tradizionali, asocialità latente o cinismo [il festeggiato Harold / Frey miete gioia come una Morte ubriaca] a demolire il crescente senso di angoscia; sensazione che culmina, sia pur per poco, nell’exploit finale del raffinato padrone di casa Michael [Kenneth Nelson]. L’introspezione si approfondisce di pari passo con l’aumento dei gradi etilici, ma anche quello della temperatura portato dalla corporalità umana ammassata nell’appartamento: un attico assediato da una tempesta quasi metaforicamente improvvisa. E come in un orologio a carica, di palese fattura Hitchcockiana, la narrazione accompagna i protagonisti fin dall’inizio -volutamente ingannevole per forviante frivolezza-  verso un’autentica mattanza psicologica, compiacendo sia i fan del “Carnage” polanskiano, quanto coloro che adorano la rassicurante dialettica del Kammerspiel.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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