Distretto 13 – Le brigate della morte

di John Carpenter (1976)

Secondo lungometraggio di Carpenter dove il casus belli della vendetta apre uno scenario riflessivo di discernimento socio-comportamentale.

titolo originale: “Assault on Precinct 13”
sceneggiatura: John Carpenter
durata: 91’ (include scene inedite in lingua originale sottotitolata)
produzione: USA
cast: Austin Stoker, Darwin Joston, Tony Burton, Laurie Zimmer, Martin West
fotografia: Douglas Knapp
musica: John Carpenter

Fin dalle prime immagini, nell’antinomia tra lo “scontro a fuoco” riportato dal telegiornale e i fucili senza volto che abbattono persone spaventate in fuga si percepisce il motore dell’odio cieco e dell’indifferenza verso la vita umana che alimenta la tensione dell’intero film; in contrasto con un plurimo e più edificante messaggio, camaleonticamente distillato dall’autore nel corso del girato. Un’indifferenza che si sublima nel sacrifico del proprio istinto di sopravvivenza, immolato all’ideale della vendetta e suggestionato da post-moderne contaminazioni vodoo.

E poca importanza ha la legittimità di questa vendetta, perché quello che il regista intende sottolineare è che la vendetta fa parte della natura umana, sia essa una prevedibile ritorsione di una gang verso i metodi brutali della polizia (tutto parte dall’iniziale carneficina di un gruppo di criminali che vuole entrare in un deposito d’armi) che quella di un padre disperato verso il delinquente che ha freddamente ucciso sua figlia. Memorabile in tal senso la scena della morte di Kathy [Kim Richards, che rivedremo poi l’anno dopo ne “La macchina nera” di E.Silverstein], dove vengono abilmente miscelate spensieratezza, tempismo sfavorevole, destino infausto (un gelato misto alla vaniglia sbagliato che fa tornare la ragazzina dove non avrebbe dovuto), spietatezza del crimine e apatia visivamente resa ai massimi livelli da uno sparo rivolto alla propria destra, attenzionato per lo stretto tempo necessario a prendere la mira, come se la suddetta innocenza fosse una fastidiosa mosca che ronza attorno ai nostri bisogni primari. L‘indifferenza trova quindi per sottrazione il registro per diventare empatia. E l’empatia cresce attraverso l’analisi dei personaggi positivi, siano essi di ruolo o moralmente riscattati dal proprio operato, che non casualmente corrispondono a quelli che esternano verbalmente il proprio pensiero, talvolta disallineato dalle idiosincratiche aspettative comuni.

Complice la disumanizzazione dei gesti e dei volti spesso non visibili o la granosa fotografia notturna opera del recentemente scomparso Douglas Knapp (anche operatore di ripresa per Carpenter dai tempi di “Dark Star”), l’assedio del distretto di polizia sposa le atmosfere coreografiche del western e del cinema degli zombie. Ed è proprio la componente zombesca uno dei cardini di questo piccolo cult che ad essa somma anche quella del prison movie, della storia d’amore impossibile/impossibilitata, della violenza educativa non catechistica, della fratellanza del bisogno che supera gli schemi etico-sociali, dello spazio tensionale per una mini-missione, del contrasto drammaturgico tra rassegnazione e speranza e di un pizzico di crudeltà che ha fatto spesso inserire questa pellicola nel settore dell’exploitation.

Un delizioso picnic di emozioni sull’humus di distopia che come sempre in Carpenter percepiamo come qualcosa di non troppo distante dal nostro presente e forse è già germogliato all’ombra della nostra inconsapevolezza. Tutto in confezione famiglia a basso costo. Molti film non riescono a gravitare oltre uno solo dei suddetti concetti, mentre qui è tutto ben bilanciato e rende “Distretto 13” qualcosa di fruitivamente gradevole nonostante la sua semplicità di fondo anche a distanza di diverse visioni.

Curiosità sul cast: Darwin Joston (il condannato a morte che per tutta la durata del film chiederà di fumare e procrastinerà la rivelazione del proprio soprannome) era il vicino di casa di Carpenter, mentre l’algida, ma affascinante Laurie Zimmer ha avuto una carriera cinematografica longeva quanto un gatto in tangenziale. Vuoto anche affettivo che ha portato poi la regista francese Charlotte Szlovak a girare addirittura un documentario in suo onore (“Laura, disparue, recherchée” / “Qui se souvient de Laurie Zimmer?”, 2003).

Nello stesso anno debuttava infine l’attore/pugile Tony Burton (celebre per il suo storico ruolo di allenatore inizialmente di Apollo Creed nella saga di “Rocky”).

Nuovamente disponibile dal 2020 in BLU RAY (classico amaray blu con copertina a stampa monofacciale) con un artwork rinnovato, più settantiano.
EAN: 8181120173583
La precedente edizione del 2014 (sempre Quadrifoglio con distribuzione Serendipity) è da tempo fuori catalogo.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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