Death Race 2050

di G.J. Echternkamp (2017)

durata: 90’
produzione: USA
cast: Manu Bennett, Malcom McDowell, Marci Miller, Burt Grinstead, Folake Olowofoyeku, Anessa Ramsey, Yancy Butler, etc
sceneggiatura: G.J. Echternkamp, Matt Yamashita
fotografia: Michael Moriatis
musica: Sean Fernald

Tentativo di reboot del classico cormaniano diretto da Bartel nel ’75 [ARTICOLO QUI] nell’evidente speranza di riproporne lo spirito grottesco e kitsch con un’aggiornata tecnologia cinematografica e ovviamente un ammodernamento dei riflessi socio-politici.
Purtroppo – vengo al punto – il film non è abbastanza brutto per diventare un nuovo cult, mancandogli in nuce quell’essenza di surrealismo e pretesa estetica che rende una pellicola fatta male degna di ciò che i greci chiamavano ἐποχή [sospensione del giudizio] e apertura a una completamente nuova forma di fascinazione extra-contestuale.
D’accordo, è stato prodotto solo per il mercato home video…ma questo non giustifica né la qualità amatoriale dell’effettistica/post-produzione (il frequente green screen – anzi blue visto che l’auto del protagonista è verde – che sfarfalla è qualcosa di micidiale) né l’impianto scenografico, tanto meno la CGI approssimativa. Che sia tutto voluto e frutto di un’attenta ricerca stilistica? Uhm… Quello che vediamo più che nostalgico neo vintage, sembra piuttosto superficialità o fretta produttiva. Considerando che tra le innovazioni dell’evento/società distopica rappresentata c’è quella di vivere la gara come esperienza virtuale (tramite proxy specifici per ogni pilota e che trasmettono in mondovisione qualsiasi cosa agli spettatori muniti di appositi occhiali/sensori) …direi che è stato scelto il soggetto sbagliato per il budget e competenze tecniche a disposizione. La resa visiva degli effetti splatter era forse migliore nell’originale del ’75, tanto nel make-up che nell’ora aggiunto apporto VFX. Sul carisma degli attori ci sarebbe da stendere un pietoso velo, con l’unica prevedibile eccezione di Malcom McDowell, che tuttavia è costretto a offrirci una quasi insignificante interpretazione di una sorta di versione Elton John del presidente delle Corporazioni Unite d’America; organo di potere che – cito a memoria – “(…)ha fatto il culo ad Asia, Europa e al cancro…e quindi solo un americano può farlo a un altro americano” (N.B. da qui lo spirito della gara). A meno che non siate appassionati di soap opera [es. Marci Miller], l’altro volto noto è Manu Bennett [nel ruolo di Frankenstein che si toglie la maschera, perché – cito – “(…)gli fa caldo”], ma alle volte sembra di vedere Crisso passato dall’arena di “Spartacus” alla pista automobilistica]. Performance che ci consegna sempre un macho con il cuore tenero (es. episodio gattino o cane rognoso adottato) e forza morale, ma che certo non basta a salvare la situazione. A risparmio il casting degli antagonisti, sicuramente più abili nell’involontaria immedesimazione negli stereotipi che rappresentano che nel copione assegnatogli; mentre i Ribelli hanno la stessa credibilità delle comparse nei film comici di Jackie Chan (la lotta tra Frankenstein e i ninja della Ribellione armati di lance laser – almeno il suono è quello, fortemente debitore a “Star Wars”, ma l’effetto visivo ricorda più il fumo – è qualcosa che supera il concetto di trash). Le auto hanno un design meno folcloristico dell’originale e più vicine a un certo gusto nipponico-futuristico [decorazioni a parte / cfr. auto di Burt Grinstead aka “Perfectus” raffigurato come Adamo in una michelangiolesca “Genesi” aerografata]. Tra queste abbiamo la novità di “ABE”: una più moderna Supercar guidata da intelligenza artificiale dove la copilota pensa solo a divertirsi con la vibrazione del sedile… Eh, sì: la componente erotica – ammesso che qualche bel corpo tonico, un nudo per l’accenno di una scena sado-maso [Anessa Ramsey], un po’ di discorsi piccanti e un (ab)uso insensato del topless possa definirsi tale – è forse una delle cose che più si nota nel restyling, insieme a un tasso di rimbecillimento sociale che fa seria concorrenza a “Idiocracy”, ma senza raggiungerne la verve satirica.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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