Dahmer (Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer)

serie (vari, 2022)

regia: vari (Carl Franklin, Clement Virgo, Jennifer Lynch, Paris Barclay, Gregg Araki)
durata episodi: 42’/63’
produzione: USA
cast: Evan Peters, Richard Jenkins, Josh Bratten, Molly Ringwald, Michael Learned, Niecy Nash, etc.
sceneggiatura: vari (Ryan Murphy, Ian Brennan, David McMillan, Todd Kubrak, Janet Mock)
fotografia: Jason McCormick
musica: Nick Cave, Warren Ellis

A 20 anni esatti dall’abbastanza fiacco film di Jacobson, viene (ri)prodotta la storia del cannibale di Milwaukee per lo sviluppo su lunga durata (10 puntate). Se da un lato tornare a rovistare in un episodio della cronaca nera americana che ha devastato la popolazione di colore sul piano empatico e quella bianca su quello burocratico (per non parlare del coinvolgimento e proteste della comunità LGBTQ) a molti è sembrato l’ennesimo tentativo di spettacolarizzazione / mercificazione del dolore, dall’altro la serie ha un pregio di premere nuovamente un tasto dolente: l’applicazione arbitraria della giustizia. Che poi dietro questa bella intenzione morale ci sia il solito giro miliardario di profitti produttivi sfruttando un ‘soggetto’ vincente è un altro discorso, ma almeno non siamo di fronte all’ennesimo lavoro anonimo o peggio documentario con voice over più malata del soggetto trattato. L’interpretazione di Dahmer affidata al giovane, anzi giovanile (ha pur sempre 35 anni) Evan Peters è più che convincente, anche grazie a un phisique du role azzeccato e una gestualità apatica e flemmatica,  pesante come il fardello del suo disagio. Richard Jenkins conferma le sue doti attoriali nei panni del padre e ottima risulta anche l’interpretazione della tormentata vicina di casa [Niecy Nash] che avalla la vecchia teoria che i comici possano essere ottimi attori tragici. In generale il casting non è deludente. Discorso analogo per tutto il comparto tecnico, a partire dalla fotografia calda che aggiunge per gli interni quel quid in più in termini di atmosfera asfittica, rendendo l’odore nauseabondo di cui si parla quasi tangibile. Buona anche la colonna sonora tutt’altro che invadente, cominciando dal main theme minimale e molto ovattato…e che poi scopro esser firmato niente di meno che dal buon Nick Cave [affiancato dal compositore australiano Warren Ellis]. Fatta eccezione per una lieve pausa di assestamento nella terza puntata, la serie è ben realizzata toccando un apice qualitativo (a mio gusto, s’intende) nella sesta, con la digressione narrativa su una delle vittime, un ragazzo sordomuto (Tony Hughes): episodio dai toni autoriali e che per certi versi rinfrancano la visione grottesca dell’ambiente gay delineatasi all’inizio. Pseudo-cammeo (nell’ultima puntata) dell’altro serial killer John Wayne Gacy, mediaticamente accostato a Dahmer per molte affinità nel modus operandi. Introdotto dalla presentazione di una sua tipica ‘giornata di lavoro’, Gacy condividerà anche – attraverso un montaggio alternato concomitante con una profetica eclissi di sole – la sorte alterna (esecuzione tramite iniezione letale) di Jeffrey (battezzato in carcere). Ironico squilibrio del fato che trova da lì a poco un nuovo allineamento nell’epilogo. Il personaggio di Dahmer destrutturato da una fede salvifica e riconsegnatoci nelle vesti di un’anima pentita e consapevolmente malata accetta rassegnato il giudizio dell’altro volto di Dio: quello che scruta l’orizzonte dietro le sbarre.
Visionabile su Netflix a questo LINK.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2023.


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