durata: 106’
produzione: Italia
cast: Gigi Proietti, Sergio Citti, Ugo Tognazzi, Mariangela e Anna Melato, Paolo Stoppa, Jodie Foster, Michele Placido, Carlo Croccolo, Ninetto Davoli, etc.
sceneggiatura: Sergio Citti, Vincenzo Cerami
fotografia: Tonino Delli Colli
musica: Gianni Mazza
Ennesimo film non compreso ai tempi dell’uscita e a distanza di tempo – più che meritatamente – rivalutato tanto per il coraggio della messa in scena in una location unica, asfittica, ma densa di variopinta umanità, quanto per l’ottima direzione attoriale. Fanno eccezione le scene con Davoli (sorta di prologo) e la parentesi onirica di Proietti con cammeo della Deneuve. Performance corale che ha visto il coinvolgimento di interpreti certo eterogenei, ma sorprendentemente sinergici, rivelando un cast in stato di grazia: dalla spontaneità del duo Proietti-Citti alla sofisticata costruzione del perverso, ma mistico Agente Assicurativo a opera di Tognazzi, passando per il marcio cinismo di Stoppa bilanciato dalla mitezza dell’adolescente, ma talentuosa Foster. La Melato è accompagnata sul set e nella professione ivi esercitata dalla sorella cantante e a qualche anno dal debutto con la Wertmuller. A dispetto di una certa propensione al denudamento [per cui con l’eccezione, credo, di Crocco, sono state utilizzate visibili protesi posticce per gli uomini], il film non scade mai nella trivialità tout court; indimenticabile gag dello scroto sporgente dell’imbranato Placido a parte. Quel che Citti intende sottolineare è piuttosto la possibilità di un luogo / rifugio unico, sorta di laico confessionale in cui gli uomini mettono a nudo la propria natura e desideri reconditi prima di oltrepassare l’altrettanto metaforica porta che conduce alla vita esterna (il mare, il gioco, la conquista, l’avventura, il dolore) e che nella sua prima brusca chiusura intrappola la telecamera a guisa di monito allo scrutare oltre. Camera che nell’offrire inquadrature circolari sembra sperduta, ma curiosa come lo sguardo di un bambino; e a poco servono gli attimi voyeuristici dei fori creati da Davoli nelle pareti. Ultima nota di merito il consueto crudele umorismo del regista, dalla demolizione del classico “canis canem non est” (lo sfortunato Rocco che all’ennesimo affronto divora l’esuberante chihuahua causa di tanti calci presi) quanto nella scoperta del duplice pene del prete, sottolineando (parafrasando) a posteriori: “in fondo sono uomini come noi”.
A cura di Luigi Maria Mennella © 2024.
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