Bullitt

di Peter Yates (1968)

Ispirandosi al romanzo “Mute witness” di Robert L.Fish (1963), Yates conferma l’iconicità di McQueen con un poliziesco di poche parole, ma MOLTA comunicazione di secondo livello. Una pellicola destinata a diventare un classico del genere grazie a un bilanciato lavoro di metalinguaggio che fa perno tanto sulla forza espressiva e coraggio performativo veristico del protagonista quanto su un montaggio fluido ed esplicativo.

durata: 114’
produzione: USA
cast: Steve McQueen, Robert Vaughn, Jacqueline Bisset, Don Gordon, Simon Oakland, Pat Renella, Robert Duvall, etc.
sceneggiatura: Alan Trustman, Harry Kleiner, Norman Fell
fotografia: William A. Fraker
musica: Lalo Schifrin

Storico poliziesco in cui Steve McQueen riveste il ruolo di un tenente della squadra omicidi, poco loquace, ma certamente meditativo (tant’è che il suo intuito genera palesemente frutti). Ostinato, integerrimo, più interessato al proprio compito e funzione sociale che alla carriera – ne è prova il rapporto conflittuale con il politico Chalmers [Robert Vaughn] – attraverso la propria sorda dedizione professionale risolve un complicato (ma neanche tanto) caso di polizia: colpo di scena a 1h 30′, sapientemente anticipato da circa 1 min di attesa scandito dalla lenta stampa effettuata da un vecchio Telecopier (telefax).

Dall’elaborata per i tempi sigla iniziale al confronto finale con lo specchio e il dettaglio quasi metaforico del suo portapallottole nuovamente riempito [alla tenacia del toro/bull si aggiunge l’esplicitezza della pallottola/bullet] il film trasporta lo spettatore attraverso la vita di un poliziotto fondamentalmente, ma forse volutamente solo.

Se da un lato Frank è certamente affiancato da una piacente e realizzata compagna [Jacqueline Bisset in un ruolo marginale che non va oltre l’inutile ramanzina sul mestiere e le responsabilità morali del suo compagno], dall’altro vive nell’isolamento emotivo di un impiego che desensibilizza e logora l’empatia a favore della lucidità operativa.

Il rispetto e la tacita ammirazione di pochi colleghi, come il fidato Delgado [interpretato da un austero Don Gordon] all’interno di un ambiente lavorativo ostile e ambiguo [es. il Capitano Baker / Norman Fell] – che anticipa quanto maggiormente esternato dai registi successivi in termini di corruzione – restano fondamentalmente l’unica interazione dialogica in una narrazione dove il silenzio predomina, affidando alla voce della città e alla cinesica del protagonista qualsiasi comunicazione metalinguistica.

Cammeo di Duvall nel ruolo di un tassista scenicamente identificato dalla ricorrenza di uno di quei vecchi cani (un attimo di nostalgico deja-vu) con la testa magnetica mobile che andavano di moda a cavallo degli anni 70 fra gli automobilisti.

Compare inoltre inizialmente nel ruolo del presunto testimone da proteggere, ma che verrà investito da violenti colpi di un fucile a canne mozze l’attore italo-americano Felice Orlandi, lanciato da Kubrick e successivamente presente in molti film di Walter Hill.

Magistrali i quasi 10 minuti d’inseguimento / contro-inseguimento tra Frank Bullitt e i due sicari tra i caratteristici saliscendi di San Francisco, dove McQueen come al suo solito riduce drasticamente il lavoro del suo stuntman (ricordiamo che è in tal senso figlio d’arte) e guida personalmente una poi divenuta iconica Ford Mustang GT390 Fastback verde scuro, per anni data per dispersa subito dopo le riprese.

Altrettanto dinamico e serrato il braccaggio finale di Johnny Ross [Pat Renella] all’aeroporto, tra aerei in movimento o partenza; come la precedente sequenza ugualmente rischiosa location per le riprese (es. passaggio tra gli aerei in movimento), anche se qui la camera tradisce la presenza di uno stuntman.

L’occhio di Yates – prima ancora di affidarsi allo straordinario montaggio di Frank P. Keller – segue morbidamente, con dedizione i protagonisti, giocando ogni tanto con riflessi e trasparenze di vetro e metallo. Narra con precisione maniacale e attitudine quasi documentaristica – in una piena aderenza alla realtà che era particolarmente cara all’attore principale – quanto gravita attorno al mestiere di Bullitt: dall’attenzione ai particolari della Scientifica (es.fili distesi dagli ematologi forensi) a quelli dei medici (l’ospedale è vero, sono veri i medici, è dettagliata la ricostruzione d’intervento del chirurgo, interpretato da Georg Stanford Brown o la registrazione della voce dell’anatomopatologo) fino all’avvicendamento risolutivo, attraverso la meticolosa ispezione di due bagagli il cui contenuto sembra quasi raccontare eventi passati o futuri.

Niente è lasciato al caso per quello che si prospetta fin dall’inizio come la cronaca veristica di un personaggio immaginario, ma simbolico a dispetto della consuetudine cinematografica di un’immaginaria e arbitraria ricostruzione del probabile che circonda la vita di un personaggio realmente esistito o possibile.

Ben riuscita la colonna sonora – curata dall’argentino Lalo Schifrin – perfettamente calata nello aspettative del genere (a titolo di esempio è sua anche quella di un paio di film di Callaghan) e che contribuisce anch’essa a dar voce ai ricercati attimi di silenzio verbale voluti dal regista.

Il film è uscito in Italia in moltissime edizioni (anche import) DVD a partire dai primi anni del 2000. In quanto ‘classico’ anche in quelle tremende raccolte da discount, che includono altri film di genere (ne ricordo una insieme ad “Arma Letale” e “Training Day”).
L’edizione BD del 2007 che ho invece visionato – classico amaray blu, con copertina a stampa monofacciale – è la prima in questo formato [prodotta e distribuita da Warner Bros, ormai fuori catalogo]. Codice EAN: 7321965136843

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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