Joint Security Area

di Park Chan-wook (2000)

Il terzo, ibrido lungometraggio di Park, opera se non consacratoria sicuramente di grande richiamo attenzionale (AI TEMPI IL film più costoso della Corea del Sud, ma anche autentico successo di botteghino) va oltre l’innegabile CARATURA artisticA riconoscibile al cineasta e assurgendo all’impegnativo, ma adempiuto ruolo di film-manifesto.

titolo originale: “Gongdonggyeongbigu-yeok JSA”
durata: 109’
produzione: Corea del Sud
cast: Lee Byung-Hun, Song Kang-ho, Shin Ha-kyun, Kim Tae-woo, Lee Young-ae, etc.
sceneggiatura: Jeong Seong-san, Kim Hyun-seok, Lee Mu-yeong, Park Chan-wook
fotografia: Kim Sung-Bok
musica: Bang Jun-seok, Jo Yeong-wook

Dopo un elaborato epilogo metacinematografico -stilisticamente quasi ingannevole (ero indeciso tra fantasy e clip introduttiva di una casa di produzione)- che scorre da un gufo che guarda in macchina alla comparsa del titolo attraverso il fascio di luce generato dal foro di uscita di un proiettile, il film arriva velocemente in medias res, esplicitando tanto le modalità direttive dell’indagine (“Il nostro compito non è individuare il “chi”, ma il “perché”) quanto la delicata situazione in atto.

Parafrasando quanto comunicato da un generale alla protagonista [la Lee Young-ae che rivedremo in “Lady Vendetta”], la Corea è una penisola combattuta tra tensione e riconciliazione e paragonabile a un bosco inaridito dove basta una piccola scintilla a mandare in fiamme tutto.

Se il film di Park da un lato sembra strategicamente favorire l’allineamento politico distensionale del momento storico in cui nasce (in quell’anno l’allora in carica Kim Dae-jung diviene il primo presidente a visitare la Corea del Nord dopo 55 anni dalla divisione del Paese/qualche anno dopo il successore Kim Dae-jung dona un dvd del film al leader nordcoreano Kim Jong-il), dall’altro riesce a delineare un semplice, ma potente strumento narrativo di critica dello strumento bellico.

Partendo dal romanzo “DMZ” (1997) del un suo omonimo [Park Sang-yeon], il regista evita la retorica sanguinaria di altre pellicole settoriali, risolvendo la dicotomia della concretezza di una terra comune divisa dall’idealismo politico attraverso il vecchio insegnamento aristotelico di un’amministrazione da parte dell’uomo – essere sociale – volta al bene comune.

Ed è socialità pura, sebbene clandestina, quella dei quattro amici che in un’apparente regressione fanciullesca (gli attimi di gioco strappano sorrisi di genuina empatia) ritrovano le comuni radici della convivialità e condivisione esperenziale; certo presente, ma che tramite anche la più schietta delle richieste (es. la foto della propria ragazza) cercano un passato, trasmettendo desiderio di profonda, intima conoscenza.

E di nuovo si ancora all’essenza più pura del bene sociale la protezione (anche dai brutali modi) e il sacrificio (anche estremo) di due amici membri di fazioni sì opposte, ma che colgono nella conservazione di quella reciprocità il bene più assoluto per il proprio concettualmente rinnovato popolo.

In tal senso il film non è esente da perplimenti iperbolismi pseudoevangelici, come nel caso del sofisticato Mexican standoff finale che va poi a chiarificare la dinamica degli eventi sotto inchiesta.

Il Sergente Oh/Song Kang-ho che salva compassionevolmente la vita al sergente Lee/Kee Byung-hun una seconda volta nonostante il tradimento di una pistola puntata alla fronte (che però miracolosamente si inceppa due volte) si pone – nell’evidente richiamo al ‘porgere l’altra guancia’ – a metà tra i residui dell’educazione cattolica di Park (in un’ottica più alla Wink, di perdono come sovversione strutturale del potere del tempo) e quell’anarchismo cristiano anche tolstojiano che riconosce una preziosità della vita e si oppone alla forza militare (qui simbolicamente la pistola) con cui il governo umano si difende.

Altamente ermetica la catarsi della ‘maschera’ (sempre di Song, ferito alla bocca) spropositatamente illuminata e quasi clownesca fino al momento in cui l’uomo cessa di sparare. Analogamente nella sua apparente semplicità rappresentativa è estremamente poetico lo zoom finale in movimento sullo scatto non autorizzato di un turista nell’Area di sicurezza congiunta: risulta struggente l’ingrandimento del volto sornione dell’altro ottimo protagonista Shin Ha-kyun (il primo della ‘comitiva’ a morire). Dettaglio questo altrimenti non percepibile nella composizione totale di una foto che ritrae e dipinge con perfezione malinconica l’amicizia dei quattro protagonisti ancora ignari delle proprie scelte e delle relative conseguenze.

Il commento sonoro classicheggiante, ma che non disdegna rielaborazioni sintetiche o aperture etniche avvolte in tradizionali pad ambientali accompagna nella sua interezza il film -non credo casualmente- senza prevaricazioni strumentali solistiche.

L’opera raggiunge l’home-video italiano (partendo da un master della Tucker Film, qui riproposto in lingua originale con sottotitoli italiani) grazie a uno dei frequenti crowdfunding organizzati dalla CG Entertainment, a cui confesso di partecipare sempre volentieri.

Il packaging è uno slipbox con artwork alternativo, numerato e limitato a 600 copie e tra i contenuti speciali troviamo sia molteplici spot / trailer che un’intervista al regista e al protagonista Song realizzata in occasione del ritorno del film al cinema dopo 15 anni dalla sua premiere.
EAN: 8057092040645

A cura di Luigi Maria Mennella © 2024.


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