Spartacus: sangue e sabbia / Gli dei dell’arena

serie (vari, 2010/2011)

Serie che – superate le legittime perplessità di natura tecnica e filologica – si è dimostrata capace di bilanciare generi come il peplum, spogliato (in tutti i sensi) di una certa pomposa gravità narrativa e l’exploitation più ironico, fornendo ore di…non dico sano, ma sicuramente distrattivo intrattenimento visivo.

sceneggiatura / fotografia: vari
durata episodi: 55’ ca
produzione: USA
cast: Andy Whitfield, Erin Cummings, John Hannah, Lucy Lawless, Manu Bennett, Craig Walsh Wrightson, Peter Mensah, Craig Parker, Viva Bianca, Dustin Clare, Antonio Te Maioha, Jai Courtney, Nick E. Tarabay, Lesley-Ann Brandt, Jeffrey Thomas, Stephen Lovatt, Katrina Law, Eka Darville, etc
musica: Joseph LoDuca

Premessa: la prima volta che ho prestato l’attenzione a questa serie era da poco uscito il trailer del suo prequel: confesso di esser rimasto perplesso – in una maniera forse reazionaria ma di sincero rispetto filologico – dal dettaglio che per quello che sembrava un peplum fosse stata utilizzata musica con un mid-tempo di batteria acustica (e vocalizzi arabeggianti). I nomi propri e sostantivi latini pronunciati, anzi biascicati in inglese mi hanno fatto definitivamente desistere. E a niente è servita l’ “intercessione” paganeggiante di sinuose pulzelle discinte per me che son cresciuto tra gli altri con Joe D’Amato… MA…c’è un “ma”…

…tempo fa invece un amico mi suggerisce di guardarlo lo stesso, sorvolando sull’uso approssimativo del digitale.
Mi sono fidato e ho iniziato dalla prima stagione, che s’intitolava “Sangue e sabbia”…Dopo mezz’ora volevo telefonargli nel cuore della notte (…): un uso dilettantistico del greenscreen, fotografia terribilmente artificiosa, dialoghi pomposi come quelli di regime dell’Istituto Luce, il sangue sproporzionato e fumettistico (in primis debitore dello stile milleriano di “300”) nella tradizione però del peggior anime…gli effetti digitali in post(iccia)-produzione…combattimenti scoordinati…roba da far storcere il naso anche al gamer meno incallito…era troppo.

Però…suggestionato forse dalla tenerezza che mi ha infuso sapere che l’interprete principale, Spartacus [Andy Whitfield] – N.B. il cui vero nome trace non sarà mai svelato – era morto per un linfoma non Hodgkin e che aveva recitato nell’ultimo periodo tormentato da dolori diffusi in tutto il corpo mi ha indotto a proseguire rispettosamente con la visione. Ed è finita che in poche sere ho letteralmente divorato sia la prima stagione che appunto la sopraccitata miniserie / prequel, perché non mi svagavo così da tempo.

Potrei anche fermarmi qui o aggiungere che sicuramente per condividere questa opinione sia necessario oltre che nutrire l’interesse per il genere anche aver dimestichezza con l’exploitation. Perché alla fine queste sono le due matrici visive conduttrici della serie: un’edulcorata sovrastruttura estetica che funge da sorta di esotico tripudio dell’edonismo antico – con intermezzi di sesso al limite del softcore (soprattutto nel prequel) e tanta, ma tanta violenza. Diffusione incensurata agevolata dal fatto che l’emittente televisive (Starz) fosse un canale privato.

Violenza non solo fisica, generata della forma mentis di una cultura classista e anti-democratica dove la vita umana aveva diversi livelli di valore e necessità, dal normalmente sacrificabile all’assolutamente inviolabile (ma frequentemente attentata o vilipesa) e che visto con occhio moderno ovviamente procura il giusto disagio (aggiuntivo).
E per la violenza fisica, ca va sans dire ci addentriamo nei meandri dello splatter più estremo, per quanto pervaso di un’ironia grottesca che non a caso porta la firma di Sam Raimi tra i produttori…

Ma non potrebbe essere altrimenti, dato che i combattimenti (tanto quanto gli allenamenti) tra gladiatori sono invece tra i temi portanti della narrazione, così come un mezzo politico di emancipazione sociale tanto nei livelli bassi dei suddetti, quanto in quelli medi dei vari proprietari di scuole gladiatorie (tecnicamente “lanisti”) e intrallazzatori asserviti ai piaceri delle classi alte o dominanti. Quindi, nel primo caso schiavi strappati ai lavori forzati che riacquistano dignità nella fratellanza della scuola gladiatoria e nella morte gloriosa tra le grida di esaltazione della folla, ma anche nell’appagamento di piaceri inimmaginabili nel breve periodo che li separa dalla perdita della libertà alla liberazione della morte.

Nel secondo caso parvenu ante litteram che usano i suddetti come strumento di riscatto e ascesa sociale, ben disposti a sporcare quel poco di ‘professionale’ che è rimasto nel proprio antico mestiere con attività parallele di lenoni, ovvero fornitori d’intrattenimento sessuale, per quanto indirizzata a una clientela selezionata…

Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante e non esplicato nel contesto narrativo, ma va ricordato che uno dei motivi per cui la figura del lanista era così poco tenuta in considerazione – con buona pace del nostro frustrato Quinto Lentulo Batiato [lo scozzese John Hannah] – risiedeva nella degenerazione della sua pratica.

Attività Iniziata ai tempi dei “bustuarii” (gladiatori che appunto combattevano nel corso di cerimonie funebri attorno a un bustum / busto, per celebrarne rispettosamente le esequie e placare gli dei infernali) e poi diventata un mero circo di carne umana da affittare agli organizzatori degli spettacoli e inoltre fonte di risarcimento nel caso di (frequente) decesso.

In tal senso s’inserisce il contrasto etico tra Quinto e suo padre, Tito [Jeffrey Thomas, attore neozelandese di teatro, ma ai più sicuramente noto per la sua partecipazione al “The Hobbit” di Jackson], lanista di vecchio stampo che preferisce stare lontano dalle rischiose, spesso letali lotte di potere, anche fisicamente (evitando il podio d’onore) e alla cui ‘inevitabile’ morte per avvelenamento a opera della nuora seguirà appunto una cerimonia in vecchio stile, come la suddetta (nella variante dell’utilizzo della pira).

Nuora, ovvero Lucrezia [l’attrice e cantante neozelandese Lucy Lawless, nota per il suo ruolo principale nella serie “Xena – Principessa Guerriera”, a sua volta spin-off della serie “Hercules” andata in onda negli anni ’90] che rappresenta l’alter ego femmineo di Quinto, fisicamente ossessionata dal gladiatore Crisso, ma sentimentalmente profondamente legata al marito, al punto da compiere al posto suo anche l’unico gesto estremo che li avrebbe potuti tener lontani dal ripudio e quindi miseria a cui Tito li aveva condannati.

E sempre Crisso [Manu Bennett, altro neozelandese e compagno di viaggio tanto in “Xena” quanto in “The Hobbit”] non farà fatica a delinearsi nella mente dello spettatore come l’eterno e risoluto (talvolta spietato) antagonista di Spartacus (serie) e precedentemente dell’oltremodo spavaldo Gannicus [Dustin Clare], certo, ma anche personaggio di alta caratura morale pronto ad andare contro gli stessi propri interessi se si tratta di difendere il diritto a una morte gloriosa di un membro della fratellanza dei Gladiatori o l’onore della donna amata.

Né esiterà – scena particolarmente pesante sotto il profilo psicologico – a uccidere in grembo il figlio avuto da Lucrezia pur di (parafrasando) ‘non farlo allattare dal seno di siffatta serpe’.
Sorvolando quindi sull’aspetto scenografico e paesaggistico e i suoi limiti di cui abbiamo parlato (per fortuna gli interni si assestano su un diverso livello così come una parte del trucco) è con la sceneggiatura che le due serie trovano il proprio punto di forza, rendendo gli episodi – pur nella propria semplicità narrativa – scorrevoli e stimolanti sotto l’aspetto fruitivo.

In questo contesto assume quindi importanza il lavoro di forse sorniona, ma efficace caratterizzazione dei personaggi secondari che, come spesso accade, finiscono per diventare perfino più interessanti di quello principale, decisamente e forse noiosamente ‘classico’: uno Spartacus “alla ricerca” della donna amata che segue gli stilemi del revenge movie quando riesce ad abbracciarla troppo tardi…, rasentando spesso un’ottusa intransigenza idealistica e indifferenza verso le conseguenze, sacrificandosi in nome dell’amicizia, etc …partendo dalla consueta fesseria di non uccidere al momento giusto quello che poi si rivelerà l’origine di tutti i suoi guai, ovvero il legato Gaio Claudio Glabro [Craig Parler]. Decisamente niente di nuovo, ma è funzionale nella sua tensione drammaturgica con gli altri personaggi.

Ed è questa tensione, questo scontro psicologico, più di quello fisico dell’arena che racchiude il merito di quella scorrevolezza a cui poc’anzi accennavo: meditazione e azione, teoria e pratica danzano al ritmo di una musica che certo conosciamo, ma a oggi non ci ha ancora stancato.

Nota di merito per il villain della miniserie, Tullio [Stephen Lovatt], magistralmente capace di contenere la propria spietatezza sotto una maschera di placida e sorridente, quasi francescana compostezza, ma sempre entro i confini di una minacciosa trasparenza epiteliale.

La parte tradizionale della ’carogna’ di turno con inclinazioni degne dello shakesperiano Iago è affidata all’attore libanese Nick E. Tarabay: Ashur è esattamente l’amico da non frequentare, che non guarda in faccia a niente e nessuno e non si arresta neanche di fronte al confine imposto dalla gratitudine.

Analogamente pericolosa la moglie di Glabro, Ilitia [la cuccariniana attrice – neozelandese come praticamente tutto il cast, ma di origini polacche – Viva Bianca]: lasciva ai limiti della efebofilia non esita a svezzare il giovane, ma già odioso Numerius [Liam Powell] pur di convincerlo a compiere la sua vendetta personale.

E costantemente incline alla gaffe umiliante nei confronti dell’ “amica” Lucrezia (che alla fine – giustamente – presenterà il conto…); fino alla crudeltà di sbarrare le porte della villa di Quinto durante la carneficina finale (sorvoliamo sul sangue di kubrickiana memoria che sgorga sotto le porte poco dopo…).

Cito a caso tra gli altri, fermo restando che ognuno è ben definito. Solonio, rivale di Quinto in affari e amore [l’attore Craig Walsh Wrightson giunto al suo primo ruolo importante purtroppo solo dopo i 60 anni] naviga nelle due serie tra viscidume naturale (non aiuta il look con parrucca e occhi truccati, da uomo maturo che non accetta la propria età) e – come si evincerà alla fine della miniserie – tutto sommato comprensibile consapevolezza della propria ‘rottura’ (e non parlo solo dell’aspetto amicale) nei confronti di Quinto.

Varro [Jai Courtney, con sembianze a metà tra Apollo e Ralph supermaxieroe]: l’unico amico e nota di calore nella tragica nuova vita di Spartacus (e che pertanto la vendicativa Ilitia pensa bene di portare alla morte seducendo Numerius). Caso raro di gladiatore volontario: ‘arruolatosi’ per pagare i debiti di gioco, lasciando moglie e figlio-fotocopia ingenuamente in attesa del suo ritorno con la sacca piena di vincite dei combattimenti.

Enomao [l’attore canadese, di origini ghanesi Peter Mensah]: (nuovo) maestro della scuola di Quinto, colosso di carne e caratura etica, sorta di ago della bilancia morale negli eventi e per questo fondamentalmente amato da tutti (spettatori inclusi, presumo).

Pur avendo la gloria di essere l’unico sopravvissuto a un combattimento contro il gigantesco gladiatore albino Teocoles [il wrestler / artista marziale Reuben De Jong], successivamente ucciso durante un combattimento (sorvoliamo anche alla daga che lo attraversa lasciandolo quasi indifferente…) contro Spartacus e Crisso, assumerà sempre un atteggiamento obiettivo e professionale e non si opporrà al ‘rimpiazzo’ da parte dell’amico Gannicus.

Che poi quest’ultimo provi a portargli via la moglie Melitta [attrice e modella Marisa Ramirez] è un altro discorso, ma anche la storia d’amore difficile e tormentata – così come quella tra Crisso e Naevia [l’attrice di origini sud-africane Lesley-Ann Brandt] – rientra nel complesso di venature ‘romantiche’ che ogni tanto attraversa il tessuto narrativo; quasi a voler ricordare che anche dove l’odore di morte pregna l’aria può resistere la fiaccola dell’amore.

Amore che viene ovviamente espresso per par condicio (e qui si torna al discorso iniziale sulla maggiore emancipazione dei nostri avi) in qualsiasi sua fioritura: ad es. l’amore dell’apparentemente glaciale [alleva però con tenerezza piccioni] gladiatore Barca [Antonio Te Maioha] per lo schiavo Pietro [Eka Darville] o quello della sfortunata Gaia [l’attrice / modella inglese Jaime Murray], amica del cuore e di talamo di Lucrezia.

E in qualsiasi variante circostanziale, come ad es. nell’utilizzo disinibito dei propri schiavi. Tutto è concesso nella domus di Batiato: analogamente al piacere, il potere è qualcosa che va perseguito con tutti i mezzi che la propria condizione o ambizione ci rende disponibili.

La musica come accennato è un po’ spiazzante. Almeno per chi come me trova complicato immergersi in un periodo storico come quello narrato dagli eventi con un sottofondo di accordi o addirittura assoli di chitarre elettriche distorte… Della batteria ho già parlato… e non mancano le influenze orffiane dei Carmina Burana, peraltro e per fortuna contestualizzati adeguatamente (momenti di “goliardia”) e non come da una vita certo cinema erroneamente fa attribuendogli connotazioni sataniche.
La situazione migliora, pur rasentando il plagio di Zimmer nei momenti stilisticamente più rilassati che richiamano palesemente la collaborazione con Lisa Gerrard ne “Il Gladiatore”.

Concludo suggerendo, per chi avesse avuto la mia stessa esitazione (per quanto voglia ricordare che lo spirito di questo blog è di riflettere su qualcosa che è già stato visionato) di guardare prima la serie e poi la miniserie, perché purtroppo alla fine di questa viene drammaticamente spoilerata la fine della suddetta…

Sia la serie (“Sangue e sabbia”) che la miniserie (“Gli dei dell’arena”) è uscita per il mercato home video italiano per la 20th Century Fox e distribuita dalla Walt Disney (lontani i tempi di Topolino…) in formato DVD e BD. Rispettivamente nel 2011 (fuori catalogo) e nel 2012 (ancora disponibile).
Blu ray da me visionati: slipcase con 7 dischi (4+3). Codice EAN: 8010312101076 (fuori catalogo).

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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